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“Gli interessi fondamentali americani in Medio Oriente e Nord Africa potrebbero non essere cambiati molto nel corso degli ultimi anni. Ma il forte accento posto dall’amministrazione Trump sulla scia dell’approccio nazionalista America first, sta dando forma ad una strategia in modi importanti”. Così Ian Lesser, vice presidente per gli Affari Esteri del German Marshall Fund (Gmf), si esprime all’inizio del suo report dal titolo “L’amministrazione Trump e la regione Mena”, analizzando le passate e future mosse statunitensi in politica estera.

Un contesto, quello approfondito da Lesser, che sottolinea i principi cardine che hanno accompagnato l’edizione 2018 del Med Forum organizzato dall’Ispi (il report è pubblicato proprio all’interno del dossier finale del congresso): “Comprensione reciproca e costruzione della fiducia tra gli attori regionali come prerequisito per la stesura di un’agenda positiva per il Mediterraneo”.

OBIETTIVI TRANSATLANTICI, TRA CONTINUITÀ E INCERTEZZE

Se l’obiettivo dell’amministrazione Trump, fin dal suo insediamento alla Casa Bianca, è stato quello di mettere in atto una politica maggiormente conservativa all’interno dei confini nazionali, la crescente instabilità e il caos in Medio Oriente e in Nord Africa hanno risvegliato gli animi statunitensi.

Tutto questo proprio mentre la dimensione mediterranea della sicurezza europea “incombe maggiormente sulle agende della Nato e dell’Ue e la Russia inizia a svolgere un ruolo più attivo”. D’altra parte, se non sono stati fatti ancora progressi sul fronte del processo di pace israelo-palestinese e le prospettive di un confronto militare con l’Iran continuano ad aumentare, i legami Usa con con gli Stati Arabi del Golfo hanno subito un’impennata positiva. In particolare quelli con l’Arabia Saudita. Mentre, dall’altro lato, i rapporti con la Turchia di Erdogan hanno raggiunto un punto di crisi latente.

Inoltre, se per quanto riguarda la Russia e la Cina, le politiche transatlantiche sono state compatibili, se non esattamente allineate, in Medio Oriente e Nord Africa le differenze di prospettiva sono più pronunciate. “Gli Stati Uniti e l’Ue hanno ora istinti e politiche molto diverse nei confronti dell’Iran, del processo di pace in Medio Oriente e della priorità accordata alla democratizzazione e ai diritti umani”, sottolinea Lesser.

IL CONFLITTO ARABO-ISRAELIANO

Una pacificazione israelo-palestinese, resta, secondo Lesser “l’ultima, elusiva e sfuggente questione diplomatica americana”. Se le precedenti amministrazioni avevano avuto la tendenza a frenare l’interventismo diretto sul processo di pace, buttando un occhio all’eredità lasciata dai loro predecessori, Trump non si è risparmiato assolutamente sulla questione. L’amministrazione attuale si è impegnata fin dall’inizio con la massima efficacia.

Il ruolo di Jared Kushner, genero del Presidente, poi, è stato d’impatto per una virata decisa verso Israele, abbandonando ogni possibilità di una soluzione a due Stati e dimostrandolo con un atto impegnativo come quello di trasferire l’ambasciata americana a Gerusalemme. Una presa di posizione ferma che ha sollevato le critiche dell’opinione pubblica, soprattutto nell’ottica del processo di pace, confermando come Trump e la sua amministrazione abbiano allacciato le relazioni più strette con Israele di qualsiasi altra presidenza del recente passato.

Ed è proprio l’allineamento statunitense con Netanyahu e con i Paesi del Golfo ad aver forse contribuito, analizza Lesser nel suo report, a mutare le dinamiche regionali del mondo arabo con gli Usa. Ma, e questo è importante ricordarlo, la vicinanza statunitense a questi temi non sottintende necessariamente una piena attenzione alle altre aree di crisi presenti nell’area. Il Nord Africa, in particolare, non ha un ruolo fondamentale nella strategia americana verso il Medio Oriente, con la sola eccezione del ruolo crescente dell’esercito Usa per debellare le reti terroristiche nel Sahel e Maghreb.

COSA SUCCEDE CON L’IRAN

Secondo Ian Lesser “la posizione assertiva dell’Iran in tutto il Medio Oriente, e soprattutto nel Levante sembra destinata a mettere il regime a confronto con un’amministrazione Trump focalizzata sulla sfida iraniana”.

E dal ritiro dall’accordo nucleare (Jcpoa) ad un suo, per ora solo ipotetico, crollo definitivo, potrebbe arrivare una nuova ondata di sanzioni economiche. Per non parlare di un potenziale e concreto, conferma Lesser, attacco preventivo contro i missili e gli impianti nucleari iraniani.

LE TENSIONI CON LA TURCHIA

Le problematiche con Ankara sicuramente precedono l’avvento dell’amministrazione Trump, affondando le loro radici in un rapporto difficile da gestire. A differenza delle relazioni dell’Europa con la Turchia, infatti, le relazioni Usa-Turchia continuano ad essere prevalentemente incentrate sulla cooperazione regionale in materia di sicurezza.

Una prima chiave di lettura è che “il valore commerciale di 35,2 miliardi di dollari tra gli Stati Uniti e l’Arabia Saudita nel 2017 rimane impegnato nella cooperazione di lunga data ed efficace con la milizia curda Ypg in Siria, un partner chiave nella lotta contro l’Isis”, afferma Lesser. “Ankara considera lo Ypg come una semplice conseguenza del Pkk, che la Turchia combatte all’interno e all’esterno del Paese da decenni”.

Senza contare che Washington e Ankara sono su pagine diverse anche quando si parla di politiche nei confronti di Mosca e Teheran. “Il previsto acquisto da parte della Turchia del sistema di difesa aerea russo S-400 ha fatto arrabbiare gli Stati Uniti e gli altri alleati della Nato”.

Ecco le prossime mosse di Trump nel Mediterraneo. Report Gmf

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