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I segni della rottura c’erano tutti, già dieci giorni fa, in occasione della relazione annuale dell’Inps. Tito Boeri contro il governo, il governo contro Tito Boeri. In mezzo un sistema pensionistico tra i più complessi al mondo e un istituto di previdenza con un patrimonio in rosso per quasi sei miliardi di euro.

Il punto di partenza è questo: c’è almeno mezzo esecutivo che non nutre grande fiducia in Boeri o comunque mal sopporta le presunte ingerenze politiche dell’economista della Bocconi, chiamato da Renzi al vertice dell’Inps. Il caso del decreto dignità, con i mal di pancia dell’esecutivo dinnanzi alle stime dell’Istituto sui contratti a termine fatti saltare dal tetto dei 24 mesi ai rapporti precari, è solo l’ennesima conseguenza di un rapporto ormai deteriorato.

Non che Boeri andasse particolarmente d’accordo con lo stesso Renzi (molta più sintonia, invece, con Gentiloni), eppure il presidente Inps ha resistito alle burrasche. Fino ad ora.

Perché adesso l’esecutivo ha due strade davanti e nessuna delle quali in discesa. Primo, mandare a casa Boeri anzitempo (il mandato scade nel 2019) e accollarsi i costi della buonuscita. Questo, verosimilmente, per avere mani libere nella revisione della legge Fornero, sulla quale poggia l’intero sistema pensionistico italiano. Non è un mistero che nelle mira di Matteo Salvini e Luigi Di Maio ci sia il riassetto dell’attuale meccanismo, con tutti gli aggravi finanziari del caso. Rimuovere l’ostacolo Boeri potrebbe essere una mossa, nemmeno tanto impossibile visto che a chiedere la testa del professore è Salvini, azionista paritetico del governo Conte.

Problema. Boeri avrà anche il vizietto di concedersi delle valutazioni politiche, ma è certamente un buon tecnico. E toccare l’equilibrio delle pensioni senza avere davanti qualcuno pronto a fiutare odore di pericoli sui conti può essere pericoloso. Il governo, se davvero vuole liberarsi di Boeri, lo metta almeno in conto.

La seconda strada è quella della tregua armata, non esclusa dal capo del 5 Stelle, fino alla scadenza naturale del mandato. L’esecutivo legastellato non andrà mai d’accordo con l’economista alla guida dell’Inps, va bene. Però potrebbero entrambi fare buon viso a cattivo gioco e provare ad aprire il cantiere pensioni. Salvini, Di Maio e lo stesso economista.

Anche qui la scelta non è gratis, anzi. Di Maio e Salvini, dovrebbero essere così bravi a non farsi saltare i nervi durante l’anno e mezzo che manca alla fine dell’incarico al vertice dell’Inps. Non proprio un esercizio facile, soprattutto per Salvini, che sembra aver perso definitivamente la pazienza.

In buona sostanza, o si caccia Boeri e si trova un valido sostituto o lo si tiene stringendo i denti nel nome del rispetto istituzionale. Non c’è una terza via.

Su Boeri il governo ha due strade. E nessuna è in discesa

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