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Raccontava Eric Hobsbawm, il grande storico britannico di formazione marxista, che subito dopo la crisi del 2008 ricevette una telefonata da George Soros il quale voleva comunicargli che Karl Marx aveva ragione. Celebrando i duecento anni dalla nascita, sembra che questo stesso convincimento abbia ispirato anche mass media considerati dal pensatore di Treviri “corifei della borghesia”. Ma davvero Marx aveva ragione? In realtà, non è stato lui il primo a capire le conseguenze contraddittorie della rivoluzione industriale, il predominio delle macchine, la mercificazione dei rapporto umani, né i limiti intrinseci del capitalismo. dagli anni Trenta dell’Ottocento in poi, proprio mentre scoppiano le rivoluzioni liberali, è tutto un fiorire di filosofo, economisti, scrittori, poeti che s’arrovellano attorno ai mali del tempo.

La peculiarità di Marx non è nemmeno nell’aver visto la “funzione rivoluzionaria della borghesia”, anche se il Manifesto del partito comunista contiene una delle più eloquenti rappresentazioni della globalizzazione scritta nel lontano 1848: “Con il rapido miglioramento di tutti gli strumenti di produzione, con le comunicazioni infinitamente agevolate, la borghesia trascina nella civiltà tutte le nazioni, anche le più barbare”. Questa missione è destinata a esaurirsi perché il capitalismo nutre dentro di sé i germi economici, sociali, politici e ideali del proprio superamento in tempi storicamente brevi: la classe operaia scava come una talpa finché non prende il potere armata di una nuova rivoluzionaria teoria. La dialettica del mondo nuovo (il pensiero di Hegel lascia il suo segno indelebile), infatti, non si basa su utopie o nobili speranze, a differenza dalle concezioni di socialisti suoi contemporanei alla Pierre-Joseph Proudhon, poeti come Heinrich Heine o riformatori vittoriani, si pensi a Charles Dickens, bensì su un fondamento scientico. È questa la convinzione di Marx basata sulla sua concezione del valore-lavoro e dello sfruttamento. I prezzi e il saggio di profitto, sostiene il  filosofo indossando i panni dell’economista, sono incomprensibili e indeterminabili se non si parte da qui. In sostanza, il pro tto nasce dalla differenza tra il tempo di lavoro necessario a ricostituire i costi di produzione e il pluslavoro sottratto all’operaio. Le conseguenze politiche sono subito evidenti.

Il fatto è che questa teoria non è mai stata dimostrata in modo convincente, nemmeno da Marx. Prezzi e profitti possono benissimo essere determinati senza alcun riferimento ai valori. Gli economisti neo-classici lo spiegano ricorrendo alla centralità del mercato. Finché Piero Sraffa, che torna a Smith e a Ricardo, rende del tutto superflua l’impostazione di Marx per capire la dinamica dell’economia, pur astraendosi dalla domanda e dall’offerta, dalla moneta e dal valore-lavoro. Crollato l’architrave, crolla l’intera costruzione a cui lo stesso Marx si era dedicato per tutta una vita senza una conclusione definitiva (come mostra il terzo volume de Il Capitale). Non solo. Gli sviluppi della storia, l’applicazione della scienza e della tecnica, la concentrazione del capitale, il primato della finanza, il consumo opulento, l’aumento del saggio di profitto invece della sua caduta tendenziale, tutto ciò ha relegato definitivamente in soffitta la dottrina marxista.

Per oltre un secolo si è spaccato il capello per separare il nucleo valido del pensiero dal modo in cui è stato interpretato, ma bisogna ammettere onestamente che l’errore fondamentale sta proprio in quel nocciolo duro. È vero che la Rivoluzione d’ottobre è stata una sfida alle convinzioni di Marx, che sperava che si sollevasse la classe operaia dei Paesi sviluppati (“La rivoluzione contro il Capitale” scrisse Antonio Gramsci sull’Avanti il 24 novembre 1917), tuttavia l’abolizione del mercato a favore della pianificazione, l’esproprio del profitto per attribuirlo allo Stato, la dittatura del proletariato (trasformata in dittatura del partito e in totalitarismo puro e semplice), tutto ciò ha smentito anche la prassi del marxismo. La classe operaia ha accresciuto il suo benessere, il suo ruolo sociale, la sua rappresentanza politica solo all’interno della democrazia liberale. Proprio il rifiuto della liberal democrazia da parte della nuova ondata populista, spinge oggi a rivalutare anche Marx e a negare l’esperienza della storia.

Marx

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Di Stefano Cingolani

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