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Va bene dialogare con Mosca, ma le sanzioni sono importanti e devono restare fino a quando la Russia non cambierà atteggiamento. È il messaggio che Nato e Stati Uniti hanno mandato al presidente del Consiglio Giuseppe Conte, espresso dalle parole del segretario generale dell’Alleanza Jens Stoltenberg e dell’ambasciatrice Usa Kay Bailey Hutchinson. In attesa di avere maggiori indicazioni su questo e su altri dossier (tra tutti, le missioni internazionali), gli alleati inviano chiari segnali all’Italia. L’apprensione di Bruxelles e Washington è palpabile; al nuovo esecutivo il compito di dissiparla.

LE PAROLE DI STOLTENBERG

“Non vedo l’ora di lavorare con lui, e lo incontrerò presto”, ha detto Stoltenberg, unendosi alle parole di congratulazioni dei leader mondiali a Conte. “L’Italia è un alleato impegnato e di alto valore, contribuisce alla nostra sicurezza comune e alla difesa collettiva in molti modi differenti”, ha ricordato il segretario generale, esprimendo approvazione per le parole che il premier ha rivolto all’Alleanza nel discorso con cui ha chiesto la fiducia al Parlamento. Eppure, sembra preoccupare l’eventuale shift dell’Italia verso Mosca, un timore giustificato soprattutto dalle tradizionali inclinazioni di Lega e Movimento 5 Stelle più che dalle parole di Conte.

SE UN VOCABOLO NON BASTA

In effetti, come ha evidenziato Formiche.net, nel passaggio sulla Russia il premier ha parlato di “revisione” del sistema delle sanzioni, collocando tra l’altro tale impegno nell’ambito della “convinta appartenenza” all’Alleanza Altantica. Una revisione dunque, e non un “ritiro” come previsto dal Contratto di governo (tanto meno un “ritiro immediato” come scritto nelle bozze preliminari). Un cambio di vocabolario evidente, probabile risultato dell’apprensione che più volte è emersa da tanti alleati. Eppure, lo storico delle posizioni di Lega e 5 Stelle sull’argomento non aiuta di certo il capo dell’esecutivo a dissipare ogni dubbio. Lo dimostra oggi il New York Times, che, citando Conte, parla di un “lifting” della sanzioni, indicando che forse il messaggio non è stato poi ricevuto con tanta chiarezza oltre oceano. Lo testimoniano anche le parole dall’ambasciatrice Usa presso la Nato Kay Bailey Hutchinson. : “L’Italia è uno dei nostri più forti alleati, ma sulla Russia crediamo che le sanzioni vadano mantenute fino a quando Mosca non cambierà il suo comportamento”.

OK AL DIALOGO CON MOSCA, MA OCCHIO ALLE SANZIONI

“Sulla Russia – ha rimarcato Stoltenberg – è importante sottolineare che la Nato ha un approccio duale: forte difesa e deterrenza, combinate con il dialogo politico”. Si tratta del tradizionale dual track che l’Alleanza ha adottato da tempo nei confronti di Mosca, recentemente ribadito anche dall’Assemblea parlamentare della Nato. Lo stesso presidente dell’Ap, Paolo Alli, ci aveva spiegato come la posizione italiana per un eventuale rimozione delle sanzioni restasse sostanzialmente isolata. Senza considerare poi che il regime sanzionatorio è stato definito in ambito europeo, e dunque può essere modificato o allentato solo in questo contesto (come aveva invece ricordato il presidente dello Iai Ferdinando Nelli Feroci). E Stoltenberg non ha potuto fare altro che ribadire tale posizione: “Non possiamo isolare la Russia, che è un nostro vicino; quindi accolgo favorevolmente il forte sostegno dell’Italia al dialogo che noi abbiano con Mosca, ma le sanzioni economiche, e la Russia dovrà cambiare il proprio comportamento prima che siano eliminate”. Un eventuale ritiro, ha aggiunto la Hutchinso, “invierebbe un pessimo segnale a Mosca”.

VERSO IL SUMMIT DI BRUXELLES

L’impressione è che il tema sia ancora piuttosto caldo e che gli alleati chiederanno maggiori chiarimenti a Conte sulle intenzioni italiane nel corso del prossimo Summit dei capi di Stato e di governo, in programma a Bruxelles a luglio. Oltre a questo, sembra preoccupare anche l’incertezza sulla postura militare internazionale. Il Contratto di governo parla di una “rivalutazione” delle missioni dei militari all’estero sotto il profilo della rilevanza per gli interessi nazionali. Anche in questo caso però, nonostante ciò possa essere considerato in continuità con quanto in parte predisposto dal precedente governo (con un focus maggior su nord Africa e l’annunciato alleggerimento dei contingenti in Afghanistan e Iraq), lo storico delle posizioni dei due partiti di maggioranza lascia spazio ai timori degli alleati euro-atlantici per un eventuale ritiro. Basti pensare al mantra pentastellato del “Via dall’Afghanistan” o alla ferma opposizione alla missione in Niger “perché andiamo a presidiare il deserto”. Lunedì, il corrispondente de La Stampa negli States Paolo Mastrolilli ha raccontato le preoccupazioni di Washington per l’impegno italiano in Afghanistan. In caso di ritiro, sarebbe a rischio l’intera collaborazione con gli Stati Uniti. A pochi giorni dell’insediamento, l’impressione è che il governo Conte sia già chiamato a un’ardua prova di politica internazionale.

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