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C’è l’accordo tra il Pentagono e Lockheed Martin per l’undicesimo lotto di produzione di F-35, il caccia di quinta generazione su cui anche l’Italia (nonostante la partecipazione nazionale sia tornata di recente sotto i riflettori) ha scommesso per il futuro del proprio potere aereo. L’intesa, che riguarderebbe 141 velivoli, è la più grande nella storia del programma Joint strike fighter (Jsf) e comporterà una sensibile riduzione dei costi unitari per tutte e tre le versioni rispetto al decimo lotto, siglato a febbraio 2017. L’obiettivo, dichiarato da tempo dal costruttore, è arrivare entro il 2020 a scendere sotto quota 80 milioni per un F-35 A, versione a decollo e atterraggio convenzionali.

L’HANDSHAKE AGREEMENT

L’annuncio sul nuovo accordo è arrivato da Ellen Lord, sottosegretario del Pentagono per acquisition and sustainment: “Il Joint program office (Jpo) e Lockheed Martin hanno fatto progressi e sono nelle fasi finali di negoziazione”. Ad ora, ha aggiunto, “abbiamo un handshake agreement che non solo simbolizza l’impegno del dipartimento della Difesa ad equipaggiare i nostri combattenti col migliore velivolo di quinta generazione, ma rappresenta anche il grande valore per i contribuenti americani, i nostri alleati e i partner internazionali”.

IL VALORE DEL LOTTO

Non ci sono dettagli sul valore complessivo del contratto, ma da Lockheed Martin hanno specificato che “il prezzo unitario per tutte e tre le varianti di F-35 è sceso significativamente nelle ultime negoziazioni, dimostrando i continui progressi, la maturità e la riduzione di costi del programma”, ormai vicino al passaggio alla produzione a pieno rateo. Secondo quanto riporta Reuters, il nuovo lotto varrebbe “almeno 13 miliardi di dollari” e dovrebbe portare il prezzo dell’F-35 A a 89 milioni di dollari, che significherebbe una riduzione del 6% rispetto ai 94,6 milioni del lotto precedente (Lrip 10), siglato a febbraio 2017 per 90 velivoli (di cui 35 destinati ai partner internazionali). Allora, la versione A del velivolo era scesa per la prima volta sotto quota 100 milioni, con una riduzione del 60% rispetto al lotto 1 e del 7% rispetto al lotto 9.

I NUMERI DEL PROGRAMMA

A metà giugno il programma ha raggiunto quota 300 velivoli consegnati. Di questi, 197 sono a decollo e atterraggio convenzionale (Ctol, o A), 75 a decollo corto e atterraggio verticale (Stovl, B) e 28 nella variante per portaerei (Cv, o C). Oltre 620 piloti e 5.600 manutentori sono stati addestrati, mentre la flotta nel suo complesso ha superato le 140mila ore di volo. D’altra parte, “con l’esperienza acquisita, l’efficientamento dei processi, l’automazione della produzione, i miglioramenti dei siti e degli strumenti, e con le iniziativi per la catena di fornitura, il programma F-35 ha già ridotto in maniera significativa i costi”, ricorda il costruttore americano in una nota. Negli ultimi cinque anni, il lavoro manuale si è ridotto di circa il 75%, mentre dal 2015 i tempi di produzione sono scesi del 20%. Nel 2017, sono stati consegnati 66 velivoli, oltre il 40% in più rispetto all’anno precedente. Per quest’anno, l’obiettivo è 91 aerei consegnati, con un aumento progressivo che dovrebbe portare a circa 160 consegne l’anno nel 2023.

LA PARTECIPAZIONE ITALIANA

L’Italia partecipa al programma multinazionale F-35 Lightning II-Jsf dal 1998, con l’adesione alla fase di Concept demonstration in qualità di partner informato. Nel 2002, l’Italia è entrata nella fase di System desing and development come partner di secondo livello in un gruppo di otto Paesi oltre agli Stati Uniti (Olanda, Australia, Canada, Danimarca, Norvegia e Turchia). Nel 2009, con la decisione relativa all’acquisizione dei velivoli, è stata approvata la realizzazione della linea nazionale di assemblaggio e verifica finale (Faco) che tutt’ora rappresenta la maggior parte della partecipazione industriale italiana al programma, a Cameri, gestita da Leonardo.

IL RECENTE DIBATTITO

La partecipazione italiana è tornata di recente sotto i riflettori dopo le parole del ministro della Difesa Elisabetta Trenta, che ha promesso “un’attenta valutazione sulla base dell’interesse nazionale”, nonostante la lente mediatica si sia soffermata soprattutto su “non compreremo altri velivoli”. Il ministro, ha detto a Formiche il generale Vincenzo Camporini, vice presidente dello Iai e già capo di Stato maggiore della Difesa, “ha avuto il coraggio di non sottrarsi all’argomento, scegliendo al riguardo di usare un linguaggio prudente, ma anche molto chiaro”. Ad ogni modo, ha rimarcato il generale, “oggi al mondo non esiste nulla che possa essere paragonato agli F-35 e l’Italia ha bisogno di questi aeroplani per mantenere, si badi bene, non per aumentare le sue capacità operative in un mondo che è sempre più inquieto”. Sulla stessa linea Carlo Festucci, segretario generale dell’Aiad, la Federazione delle aziende di settore, che su Airpress ha scritto: “Credo sia sbagliato immaginare una modifica della partecipazione italiana al programma, anche alla luce del punto di avanzamento dello stesso. Molto più utile e opportuno – ha aggiunto – sarebbe chiedere al governo americano, al Joint program office (Jpo) e a Lockheed Martin una chiara dimostrazione di implementazione del ritorno industriale in Italia, anche sotto forme diverse. In buona sostanza – ha rimarcato Festucci – dobbiamo poter dimostrare al Parlamento e al governo italiani che la scelta dell’F-35 da parte della Forza armata, oltre a essere un’esigenza operativa, è anche un investimento sia da un punto di vista tecnologico-industriale, sia occupazionale”.

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