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Nulla meno di moda, nei nostri tempi, perennemente a caccia dell’ultimo like. Eppure, dovremmo tutti ricordarci che compito essenziale di chi ricopra incarichi pubblici dovrebbe essere dire le cose come stanno. Non tanto la verità, materia spesso opinabile, se non addirittura filosofica, ma ciò che si deve. Nell’interesse di una comunità.

Ancora nelle ultimissime ore, i due vicepresidenti del Consiglio, sia pur con accenti parzialmente diversi, hanno preferito le parole, che il loro popolo ama ascoltare. Luigi Di Maio ha esclamato che si rifiuta di pensare a un governo, il suo governo, che anteponga i “mercati”, all’interesse degli italiani. Frase acchiappapplausi e cattura-like, come poche. Peccato che gli stessi pronti ad applaudire e a incoraggiare il grande “vaffa” al “sistema”, siano le potenziali vittime di questo pericolosissimo gioco.

Parlare di “mercati” così, significa adombrare oscure manovre, uomini neri, interessi inconfessabili e club dediti alla rovina altrui. Nessuno sembra avere più voglia di sottolineare una realtà banale e cioè che sui famigerati “mercati” noi tutti andiamo a finanziarci ogni santissima mattina, attraverso le centinaia di miliardi di euro di nostri titoli di Stato, che spietati investitori comprano ogni anno. È la benzina della macchina chiamata Italia, non un dettaglio. Il carburante arriva perché il nostro Paese è sempre stato un ottimo pagatore, un investimento sicuro. La paura è di essere additati come “nemici del popolo”, mentre attaccare o disprezzare i “mercati” è tremendamente popolare. Peccato sia un gioco a elevatissimo rischio, per uno Stato a due gradini dal giudizio “spazzatura” del proprio debito. Non perché si debba avere timore delle agenzie di rating e del loro giudizio, ma perché se urliamo al mondo che del parere e dei timori degli altri a noi non interessa, i “mercati” non dovranno essere maligni per mollarci, dovranno semplicemente avere a cuore i legittimi interessi dei propri clienti.

Additiamo come nemici entità oscure e indefinibili, quando ci presentiamo ogni giorno con almeno tre voci diverse: nel week end, sul rispetto del parametro del deficit, l’Italia ha sostenuto che starà ben sotto il 3%, lo sfiorerà e potrebbe anche infischiarsene. Su quale delle tre tesi si debbano basare gli investitori, oggi non sapremmo dire. E non è un problema passeggero di fine estate, perché l’unica cosa che i “mercati” non fanno è tenere i soldi fermi, in attesa che si scelga la busta 1,2 o 3.

Ecco perché l’impopolarità potrebbe, alla lunga, pagare molto di più della popolarità effimera di una serata in riva al mare. Oggi, ci vuole coraggio per dire anche cose che un tempo nessuno osava contraddire, per puro principio d’autorità. Non è meglio o peggio, è diverso e servono politici coraggiosi. Si rischierà di perdere qualche selfie e qualche applauso, ma sempre meglio che perdere i cattivissimi “mercati”.

risso

Elogio della impopolarità ovvero della politica al tempo dei like

Nulla meno di moda, nei nostri tempi, perennemente a caccia dell’ultimo like. Eppure, dovremmo tutti ricordarci che compito essenziale di chi ricopra incarichi pubblici dovrebbe essere dire le cose come stanno. Non tanto la verità, materia spesso opinabile, se non addirittura filosofica, ma ciò che si deve. Nell’interesse di una comunità. Ancora nelle ultimissime ore, i due vicepresidenti del Consiglio,…

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