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Scrive Allevi in “Immigrazione. Cambiare tutto” (Bari-Roma, 2018, pagg XVI-XVII): “(…) l’immigrazione non è un fenomeno che può essere letto con la logica dello schieramento ideologico: implica vantaggi e svantaggi, porta con sé problemi facilmente risolvibili molto più complessi e con un maggior numero di variabili, non sempre controllabili e meno facilmente affrontabili, comporta conseguenze immediate di lungo periodo, che spesso vanno in direzione diversa, induce conflitti che bisogna necessariamente attraversare, necessita della capacità di trovare soluzioni che riguardano parti della società che hanno opinioni molto diverse, ma che, tutte, devono essere coinvolte, e comunque ascoltate.”.

L’immigrazione, anzitutto, è un fenomeno strutturale e globale. Lo schermo ideologico, in particolare in questo mondo fluido, fa danni perché non ci fa comprendere la realtà per quella che è. La realtà dell’immigrazione è nelle sue complessità, in quella rete inestricabile di cause, tensioni, storie, rischi, minacce che essa comporta; noi la temiamo perché essa problematizza una coesione sociale già fragile, peraltro conseguenza di politiche globali, continentali, regionali e nazionali molto spesso sbagliate e che hanno generato, e perpetrato, inaccettabili diseguaglianze. Ecco che, su questa base di precarietà oggettiva, arriva anche l’immigrazione a peggiorare le cose; così aumentano le nostre ansie, la nostra voglia di tornare ai piccoli mondi dell’uguaglianza, il nostro bisogno – a tratti ossessivo – di controllo e di sicurezza.

Personalmente ritengo che occorra uscire sia da logiche “linearmente buoniste” sia da logiche che, di fatto, scaricano sugli immigrati le nostre mancanze politico-strategiche. La politica del fare ha scelto l’immigrazione come tema centrale sul quale formarsi e consolidarsi perché, pur se il disagio sociale è assolutamente reale, è molto più facile costruire una “narrazione emozionale” parlando alla pancia di “comunità autoctone” stanche, deluse e bisognose di certezze per il futuro.

Anche l’immigrazione, dunque, si colloca nel cambio di era. Nulla sarà più come prima; sono i processi storici che ci danno la direzione, tanto più che – senza lo schermo di intermediazione delle ideologie – la realtà disintermediata ci cade addosso, inevitabilmente.

Ancora una volta, per concludere, va detto con chiarezza, guardando alla recentissima cronaca italiana, che il caso della nave Diciotti ci parla di un’assenza “tragicamente farsesca” dell’Europa. Non mi interessano le scelte domestiche, rispetto alle quali riconosco pari limiti sia all’azione del Governo sia a quella della Magistratura, ma trovo inquietante che l’Europa continui a essere ostaggio del suo “niente politico”.

 

L'immigrazione nella realtà disintermediata

Scrive Allevi in "Immigrazione. Cambiare tutto" (Bari-Roma, 2018, pagg XVI-XVII): "(...) l'immigrazione non è un fenomeno che può essere letto con la logica dello schieramento ideologico: implica vantaggi e svantaggi, porta con sé problemi facilmente risolvibili molto più complessi e con un maggior numero di variabili, non sempre controllabili e meno facilmente affrontabili, comporta conseguenze immediate di lungo periodo, che…

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