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La storia è anche nei dettagli. Chiunque abbia acceso un’emittente televisiva domenica avrà seguito passo passo la preparazione per lo storico summit fra Donald Trump e Kim Jong-un a Singapore. Interviste, corrispondenti, analisi di esperti. Chiunque non abiti in Corea del Nord. Chi invece, passeggiando per Pyongyang, si è soffermato a guardare su uno dei tanti maxischermi pubblici la tv di Stato, la Korean Central News Agency, ha assistito a uno spettacolo ben diverso. Giovani donne che fanno jogging all’aperto, documentari su usi e costumi della famiglia Kim, uno speciale sul pericolo del fumo di sigarette. Per la tv nordcoreana è stata una domenica come tutte le altre. Lunedì qualcosa è cambiato. Per la prima volta i media del regime hanno dato annuncio del summit. Kim era già arrivato a Singapore su un aereo Air China, da settimane i media internazionali davano aggiornamenti sul tanto atteso meeting. Ma per la Corea del Nord si è trattato di un cambiamento epocale. A Pyongyang la tv di Stato non dà mai aggiornamenti live sulla politica. Anticipare significa creare aspettative, e magari anche un’opinione nei telespettatori. Gli spostamenti di Kim degli ultimi mesi, i primi all’estero da quando ha preso il potere, sono stati comunicati ai nordcoreani solo ex post, con un’adeguata opera di propaganda per dare il giusto frame al corso degli eventi e scegliere opinatamente le foto del dittatore.

Lunedì mattina per la prima volta i cittadini di Pyongyang hanno visto con i loro occhi, live, il racconto di un evento al di fuori dei confini nazionali. Sui maxischermi sono apparse le prime foto di Kim  mentre salutava i suoi ufficiali prima di decollare alla volta di Singapore. Una troupe di Rodong Sinmun, il giornale del Partito dei Lavoratori, ha seguito Kim nel suo viaggio diffondendo 14 foto del dittatore. Le inquadrature non sono casuali. I volti di Kim e del suo seguito sono rilassati e contrastano con l’austerità e la severità di espressione tipiche delle immagini diffuse in patria. Con la tradizionale veste rosa cinta alla vita Ri Chun-Hee, (nella foto), la celebre anchorwoman nordcoreana che ha prestato la voce alla propaganda di regime per più di cinquant’anni, attraversando tre generazioni di dittatori e sette presidenti degli Stati Uniti, ha fatto qualcosa di impensabile. Dopo aver dato la notizia del tour di Kim per la città di Singapore, definita “pulita e stupenda”, ha chiamato per la prima volta il presidente americano con il suo nome: Donald Trump. Il contrasto con il passato è lampante, in questi mesi il tycoon è stato chiamato in causa dalla pink lady nordcoreana solo per essere insultato, o scandire con enfasi, e un sorriso beffardo, citazioni del dittatore Kim come: “Addomesticherò con il fuoco una volta per tutte quel rimbambito e squilibrato mentale americano”.

Da qualche settimana invece in Corea del Nord tira un’altra aria. Non c’è un lembo di informazione che non sia ritoccato e manipolato dalla propaganda di regime, certo. Ma a partire dall’incontro a cavallo del 38° parallelo fra Kim e Moon si deve registrare un allentamento della feroce propaganda anti-americana. Difficile che queste timide concessioni aprano la strada a un re-frame degli Stati Uniti sulle emittenti statali. Anche se Kim fosse disposto a un simile passo, e c’è più di un motivo per dubitarne, non è detto che i nordcoreani siano pronti. La propaganda dittatoriale ha sortito i suoi effetti. La gente di Pyongyang è forse pronta per tendere una mano ai sudcoreani, che dopotutto sono fratelli perduti, conterranei divisi da decenni ma uniti dallo stesso sangue. Non sarà facile scuotere dall’oggi al domani l’immaginario collettivo nordcoreano nei confronti degli Stati Uniti. Per tutti Trump rimane “l’anziano lunatico” che Ri Chun-Hee bacchetta in tv da mattina a sera. Che Kim sia intenzionato, una volta tornato da Singapore, a ordinare un cambio repentino di narrativa è tutto da vedere. In un caso o nell’altro sarà propaganda: la pink lady, con i suoi 74 anni, non può ancora andare in pensione.

(Foto: Youtube)

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