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Con i risultati elettorali del 4 marzo fare un governo è oggettivamente difficile e nessuno dei tanti soloni che si stanno esercitando in commenti velenosi saprebbe fare meglio, però non c’è dubbio sul fatto che Salvini e Di Maio stanno commettendo tre errori abbastanza gravi: errori di tono, di tempi e di priorità.

C’è un evidente inciampo sul tono, perché da giorni (più Di Maio che Salvini in verità) si dipinge la situazione come a un passo dalla soluzione positiva, con rifermenti a volte trionfalistici che finora non hanno trovato riscontro. C’è come una sorta di “ansia da prestazione” che induce a dichiarazioni pubbliche sempre un po’ più avanti della realtà, quasi ad esorcizzarla, quasi a cercare di ottenere un risultato attraverso la via breve della forzatura su pressione a mezzo stampa.

È una scelta ingenua e imprudente, perché mette a nudo, ora dopo ora, le difficoltà negate ma non per questo assenti. Sarebbe invece saggio fare l’esatto contrario, ad esempio enfatizzando le complessità e indicando con tono meno ridanciano i progressi solo quando tangibili.

Poi è evidente una questione di tempi, cugina prima di quella del tono.

Si continua a dire che serve ancora “qualche ora”, senza capire che in questo modo l’intero sistema dei media (e dei social network) diventa un tritasassi, perché gli si dà in continuazione appuntamenti “decisivi” che finiscono per non essere tali.

Salvini e Di Maio dovrebbero fare esattamente il contrario, cioè indicare un tempo di discussione lungo (in Germania ci sono voluti sei mesi) per finire il lavoro in anticipo, vincendo così la gara con il cronometro.

Invece con il metodo che vediamo in atto si passa da una brutta figura all’altra, regalando ai critici di ogni natura e agli avversari politici vaste praterie di facile polemica.

Veniamo così al terzo e più grave degli errori, quello compiuto scegliendo come priorità la definizione del programma comune per arrivare poi ai nomi, in particolare quello del premier.

Non solo questa scelta è improvvida e vagamente surreale, poiché tutti sappiamo perfettamente che il nodo più difficile da sciogliere è proprio quello del capo del governo (e già questa considerazione basterebbe a decidere di ribaltare il metodo).

In aggiunta poi c’è un ulteriore aspetto, che ieri si è palesato con la grottesca giornata del prof. Sapelli, coinvolto, più o meno seriamente, in una ipotesi di designazione per Palazzo Chigi.
Qui si mette a dura prova da un lato la Costituzione (è il Capo dello Stato, sentite le forze politiche, che designa il premier incaricato) e dall’altro il senso del ridicolo, perché ieri mentre Sapelli parlava della sua disponibilità, dal M5S arrivavano segnali opposti, con evidente effetto “burlesque” degno di un film di Paolo Sorrentino.
Se invece si agisse al contrario, cioè definendo il programma (avendone condiviso i tratti salienti) in un tavolo di trattativa guidato proprio dal premier incaricato le cose avrebbero ben altra solidità, poiché sarebbe chiarito una volta per tutte chi c’è al volante.

Di Salvini e Di Maio, facciamo dunque attenzione, si sta consumando in questi giorni la credibilità, in particolare quella del giovane leader grillino, perché nel frattempo Salvini vince tutte le elezioni locali con la sua coalizione d’origine (l’ultimo caso è il comune di Udine, strappato al Pd per una manciata di voti domenica).

C’è ancora un po’ di tempo, ma non un tempo infinito.
Il passaggio dal dramma alla commedia è breve, anche nel cinema.

I tre errori (da matita blu) di Salvini e Di Maio

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