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Noi abbiamo intervistato uno dei numeri uno nel campo della robotica internazionale, Oussama Khatib della Stanford University, le cui principali ricerche riguardano proprio l’interazione fra uomo e robot.

La scienza si ispira alla natura per intervenire proprio laddove la natura non può farlo. È uno straordinario esempio di circolo virtuoso, simbolo in qualche modo della perfetta cooperazione fra natura e scienza, biologia e intervento umano?

Il mondo naturale è una grande fonte di ispirazione per molti dei progetti che stiamo realizzando nel mondo artificiale. In ogni fase del mio lavoro mi ispiro proprio a molti dei comportamenti che troviamo in natura. Non c’è nessuno che possegga la stessa “intelligenza” della natura, per cui beneficiarne e trarne ispirazione non può essere che positivo.

Può farci un esempio?

Il primo modello che abbiamo sviluppato è ispirato agli elettroni. Poniamo un robot che da un punto A deve raggiungere un punto B. Basterà innestare nel robot una carica, mentre al traguardo una carica differente. I due punti tenderanno ad attrarsi l’un l’altro per cui il robot raggiungerà facilmente il suo obiettivo. Ma se c’è per esempio un ostacolo sul percorso e si vuole fare in modo che il robot lo eviti, basterà innestare nell’ostacolo la stessa carica del robot e lui lo eviterà perché ne sarà respinto. Usando questa scoperta si possono generare negli androidi comportamenti altrimenti molto difficili da programmare.

In molti sono intimoriti dalla sempre maggiore autonomia dei robot nello svolgimento di attività complesse. Cosa direbbe a queste persone e a chi sostiene che l’evoluzione della robotica rischia rimpiazzare la forza-lavoro umana?

Negli anni ‘80 la robotica fece il suo ingresso nell’industria manifatturiera, per cui molti posti di lavoro furono effettivamente perduti. I robot erano rigidi, precisi e completamente isolati dagli esseri umani. Oggi, invece, parliamo di una nuova robotica, dove i robot lavorano nello stesso ambiente degli umani, creando importanti sinergie. Uno degli errori che più comunemente viene commesso è quello di credere che questi robot possano sostituire l’essere umano com’è accaduto nel secolo scorso, diventando completamente autonomi. Ma in realtà essi sono autonomi funzionalmente, nel senso che sono capaci di coordinare i propri movimenti, la propria cinematica, le proprie interazioni fisiche, ma non posseggono in alcun modo l’abilità di portare a termine un compito che vada oltre il semplice contatto con l’ambiente.

Quindi l’intelligenza artificiale ha ancora bisogno dell’intelligenza umana?

Nessuno vuole essere operato da un robot. Accettiamo, anzi, l’utilizzo di robot nella chirurgia solo se c’è anche un chirurgo. Il robot è quindi la trasmissione di un sapere e di un’abilità da un umano a un robot in una situazione in cui né il robot né l’umano potrebbero intervenire da soli. Vi una sinergia straordinaria tra umani e robot.
Quando immaginiamo questi robot completamente autonomi tendiamo a sovrastimare le loro capacità perché pensiamo a semplici robot volanti o a veicoli che si muovono. Ma si tratta, appunto, di tipologie di robot molto semplici. Quando invece bisogna svolgere operazioni più complesse il robot da solo non basta. Per ancora moltissimo tempo, insomma, i robot forniranno i muscoli e gli umani il cervello.

Tra le tante applicazioni della robotica, oggi abbiamo parlato di Ocean One, il robot bimanuale umanoide in grado di esplorare i fondali marini e trasmettere le sensazioni tattili allo scienziato che invece rimane in superficie. Questa grande invenzione può trovare applicazioni in ambito ecologico ed essere utilizzata per la preservazione e la salvaguardia dell’ambiente?

Certo. I robot possono essere utili, in questo caso, sia per aiutare l’uomo ad intervenire lì dove da solo non è in grado di arrivare, sia per svolgere azioni di precisione che l’uomo non è in grado di fare. Nell’industria mineraria, ad esempio, dotiamo gli uomini di tantissime protezioni, ma spesso non sono sufficienti a preservarne la salute. L’utilizzo di un robot può risolvere questo problema. I robot, poi, possono appunto intervenire sull’ambiente, come ad esempio sui fondali marini, invadendo la flora e la fauna molto meno di quanto farebbe invece un uomo. La tecnologia può aiutarci a diventare più gentili verso l’ambiente e ad intervenire a suo favore. Con Ocean One, ad esempio, possiamo arrivare a profondità marine che l’uomo non può raggiungere. La tecnologia è meravigliosa se è usata a favore degli umani.

A tal proposito, cosa pensa delle implicazioni etiche delle nuove tecnologie robotiche?

Spesso l’essere umano usa male la tecnologia. I temi etici associati alla robotica sono molto importanti e non vanno trascurati. La nostra comunità è consapevole di cosa comporta la tecnologia e la robotica è una delle macchine più potenti che ci sono sulla terra. All’epoca degli egizi abbiamo cominciato a creare personaggi basati sulla forma umana, poi nel Medioevo abbiamo creato artefatti che replicavano il mondo reale ma, non avendo l’elettricità, tutta la programmazione era fatta con molle meccaniche. Poi, quando abbiamo scoperto i motori e le macchine numeriche, è arrivata la prima rivoluzione industriale.

E ora?

Ora con i computer possiamo controllare i nostri artefatti per fargli fare ciò che vogliamo e attraverso l’implementazione di diversi algoritmi alla fine abbiamo inventato i robot. Tuttavia, si tratta ancora di un mero insieme di plastica e metallo, nulla che abbia a che fare con la vita. Mantenere questa distinzione tra vita reale e robot è fondamentale, così come accertarsi che gli uomini utilizzino le proprie invenzioni sempre a favore dell’uomo e mai contro di esso.

Robot, Romecup, khatib

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