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Non è ancora trascorsa una settimana da quando il dl dignità di Luigi Di Maio è stato scritto nero su bianco nella Gazzetta Ufficiale ma sembra che se ne parli da una vita. Finito sotto il torchio di opposizioni, esperti e associazioni industriali (in prima linea l’Inps di Tito Boeri e Confindustria, che hanno messo in guardia dagli effetti dell’incertezza normativa su occupazione, crescita e investimenti) il decreto che vuole smantellare il jobs act di Matteo Renzi non smette di far discutere. L’ultimo appunto degno di menzione arriva da un rapporto dello Studio Legale Delfino e Associati Willkie Farr & Gallagher che, in attesa della conversione del decreto in legge da parte del Parlamento, ha espresso qualche perplessità su due cavalli di battaglia della riforma: redditometro e spesometro.

Un vero pallino per il neo-ministro del Lavoro (ma anche per Matteo Salvini), che agli elettori ha promesso solennemente di voler tagliare a colpi di accetta la giungla della burocrazia a partire da alcuni “provvedimenti a costo zero”: abrogare redditometro e spesometro, per l’appunto, assieme a split payment e studi di settore. A giudicare dal testo normativo però la rivoluzione sembra rimandata a data da destinarsi. A questa conclusione giunge il prestigioso studio legale di Milano. Vediamo perché.

Iniziamo dal redditometro, l’insieme di indicatori che permette al Fisco di individuare il reddito di un cittadino sulla base della sua capacità contributiva (che a sua volta dipende da altri indicatori, come le dimensioni della famiglia o la zona di residenza). La coalizione gialloverde non ha mai fatto mistero di voler eliminare questo strumento, che è nato per colpire gli evasori ma spesso, dicono loro, si trasforma in una scure verso chi paga le tasse regolarmente.

Ecco, l’articolo 10 del dl dignità prevede l’abrogazione del decreto ministeriale del Mef del settembre 2015 e l’emanazione di un nuovo decreto in materia dopo la consultazione delle associazioni di consumatori e dell’Istat. In poche parole, spiega il rapporto, il redditometro viene messo in un limbo: “In effetti non viene davvero abrogato, ma in qualche modo sono sospese le previsioni per il 2016 e gli anni successivi, in attesa di un nuovo decreto del ministero dell’Economia”.

Molto rumore per nulla anche per lo spesometro, la comunicazione delle fatture emesse e ricevute che i soggetti titolari di partita Iva, i lavoratori autonomi e le imprese devono inviare all’Agenzia delle Entrate su base trimestrale. L’articolo 11 fa slittare la scadenza del terzo trimestre del 2018 dal 30 novembre al 28 febbraio del 2019, facendo dunque rimanere in vigore lo spesometro per quest’anno. Anche qui, spiegano gli esperti di Delfino e Associati, si tratta di “un rinvio della scadenza per trasmettere la comunicazione e non di un’abrogazione della legge”.

Un appunto infine viene fatto su una disposizione destinata a catalizzare il dibattito politico nelle prossime settimane: la lotta alla delocalizzazione. Il dl dignità prevede dure misure per punire le aziende che decidano di delocalizzare anche solo parte della produzione dopo aver ricevuto agevolazioni come sussidi o detrazioni dallo Stato italiano, che possono essere colpite da multe da 2 a 4 volte il beneficio ricevuto. In molti hanno rilevato il rischio di dare il via a un fuggi fuggi generale delle aziende con una vocazione esportatrice. Lo studio legale milanese sottolinea un dettaglio non da poco: “Queste disposizioni si applicano a prescindere dall’impatto sull’occupazione”. Una preoccupazione già espressa da Confindustria, che ha definito “punitive e poco chiare” le norme sulle delocalizzazioni.

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