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“Abbiamo gettato le basi per una manovra seria e coraggiosa, che guarda alla crescita nella stabilità dei conti pubblici” scrive su Facebook Giuseppe Conte, presidente del Consiglio dei ministri. Precisando poi: “Una manovra che vuole offrire una risposta alla povertà dilagante, ai pensionati, alle famiglie, ai risparmiatori danneggiati dalle crisi bancarie, che non taglia un euro al sociale né alla sanità, una manovra che inizia ad abbassare le tasse e che scommette sul più grande piano di investimenti della storia repubblicana. Una manovra che segna la svolta per il rilancio del paese e lo sviluppo sociale”.

Tutto bene, a sentire il premier. Siccome però le scelte del governo diventano realtà (e neppure sempre) solo quando si traducono in atti amministrativi, ecco che un punto salta agli occhi nella sua (preoccupante) scarsa concretezza: quello degli investimenti.

L’organismo più importante della nazione sul tema, cioè il Cipe (Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica), non si riunisce da molti mesi, cioè dal lontano 26 aprile (governo Gentiloni ancora in carica nel bel mezzo delle trattative post elettorali per la formazione della maggioranza).
Il Cipe è infatti fondamentale passaggio per deliberare l’utilizzo dei Fondi di Coesione (che arrivano dall’Unione Europea) e per avviare le opere pubbliche, quindi è lo snodo ineludibile per le politiche d’investimento della nazione.

Ebbene il 2018 si avvia ad essere l’anno con il minor numero di riunioni Cipe del recente passato, con probabile effetto di rallentamento sull’iter di molte opere.
Infatti se andiamo indietro nel tempo troviamo la seguente situazione, che vale la pena esaminare a partire dal 2013 (anch’esso anno elettorale con urne aperte nei giorni 24 e 25 febbraio, da cui nasce il governo Letta con accordo Pd, FI e centristi vari): 10 riunioni nel 2013 (di cui ben 9 dopo le elezioni), 7 nel 2014 (con il cambio a Palazzo Chigi tra Letta e Renzi), 7 nel 2015, 4 nel 2016 (con l’arrivo di Gentiloni al posto di Renzi) e 5 nel 2017.

Quest’anno il Cipe si è riunito tre volte, per la precisione il 28 febbraio, il 21 marzo e, infine, il 26 aprile. Da allora più nulla, zero riunioni, zero delibere, zero investimenti. Certo, la complessa vicenda post-elettorale non ha aiutato, ma ormai siamo a quattro mesi dalla formazione del governo e, ciononostante, di una seduta Cipe non c’è traccia, anche se nei pourparler ministeriali si vocifera di una possibile seduta per fine ottobre.

Cosa ne impedisce la convocazione? C’è intesa tra i ministri Toninelli, Lezzi (da un lato) e Tria (dall’altro) su quali dossier portare all’attenzione del “plenum” per l’approvazione entro l’anno?
Sarebbe bene saperlo al più presto, posto che il governo vuole convincere l’Europa e i mercati della solidità della manovra mettendo l’accento sugli investimenti, come anche il ministro Savona ricorda quasi tutti i giorni. Ma come si fa a passare dalle parole ai fatti senza convocare un Cipe dotandolo di una robusta agenda in approvazione?
Vorremmo saperlo, anche perché a fine ottobre ci giudicano le agenzie di rating. E converrebbe (a tutti) passare l’esame. Ma se nemmeno riusciamo a convocare il Cipe vuole dire che butta male, per dirla in modo poco elegante (ma efficace).

No Cipe, no party. Perché non si riunisce dal 26 aprile?

“Abbiamo gettato le basi per una manovra seria e coraggiosa, che guarda alla crescita nella stabilità dei conti pubblici" scrive su Facebook Giuseppe Conte, presidente del Consiglio dei ministri. Precisando poi: "Una manovra che vuole offrire una risposta alla povertà dilagante, ai pensionati, alle famiglie, ai risparmiatori danneggiati dalle crisi bancarie, che non taglia un euro al sociale né alla…

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