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Chi sperava che il corpo a corpo fosse rimandato a ottobre inoltrato, con la presentazione della manovra, rimarrà deluso. Nelle ultime 24 ore nel trianfolo Roma-Bruxelles-mercati sono successe tante cose. Troppe per non preoccuparsi almeno un po’, troppe per non capire che c’è un problema. Anzi due.

Ieri sera il ministro dell’Economia Giovanni Tria è tornato frettolosamente a Roma dopo un faccia a faccia lampo coi vertici della commissione. Questo significa che oggi diserterà l’Ecofin, il vertice dei ministri economici, che comunque darà un primo sguardo ai conti italiani illustrati grandi linee nel Def (i numeri ufficiali arriveranno entro il 15 ottobre). Una mossa che ha messo agitazione ai mercati e forse innervosito la stessa nomenklatura Ue.

Forse anche per questo, appena decollato Tria, il potente presidente della commissione europea Jean Claude Juncker ha tuonato contro l’Italia, arrivando a paragonarla alla Grecia. Ma, ignorando non senza colpe un dettaglio: il patrimonio finanziario italiano, in termini di risparmio, è doppio rispetto a quello di Atene. Dunque, in caso di vero shock finanziario, ci sarebbe un cuscino pronto ad attutite il colpo.

Da parte sua il vicepremier Matteo Salvini ha risposto nella maniera più piccata possibile, arrivando a paventare una richiesta di danni a Bruxelles, rea di far salire lo spread e dunque costringere il Tesoro e promettere cedole più sostanziose pur di assicurarsi la sottoscrizione del debito.  “Le parole e le minacce di Juncker e di altri burocrati europei continuano a far salire lo spread, con l’obiettivo di attaccare il governo e l’economia italiane? Siamo pronti a chiedere i danni a chi vuole il male dell’Italia”.

Fin qui il problema politico. Poi c’è quello più reale, finanziario. Dopo il venerdì nero (era day after del Def, qui l’approfondimento) e la fiammata di ieri pomeriggio (non appena trapelata la notizia del rientro anticipato di Tria), questa mattina i mercati continuano a mostrare segni di insofferenza verso le scelte italiane, con lo spread che prima ha sfondato la soglia psicologica dei 300 punti, per poi ripiegare ma di poco fino a chiudere a 302.

Non tanto l’Europa, i cui vertici sono peraltro in scadenza visto che a maggio dell’anno prossimo si vota per parlamento e commissione, ma i mercati sono il vero banco di prova per l’Italia. La vera voce da ascoltare perché se una scaramuccia con l’Ue può essere declassata a problema di natura politica, coi mercati no, è diverso: ci comprano il debito, dunque ci prestano il denaro che le tasse non riescono a garantire allo Stato per funzionare.

Detto questo, subito dopo i mercati l’altra voce da ascoltare è quella degli analisti, cioè di chi ci fa i conti in tasca quasi ogni giorno, per verificare la sostenibilità del nostro debito. Problema, anche qui le cose non vanno per il meglio. Questa mattina sono arrivati due importanti report, uno di Goldman Sachs, prima banca d’affari americana e l’altro dell’agenzia di rating tedesca Scope.

Per gli americani non ci sono dubbi: una manovra che preveda un rapporto deficit/pil al 2,4% e basata su una politica fiscale espansiva (meno tasse) “è destinata a far deviare la traiettoria del debito e questo avrà come conseguenza un maggior costo del credito sia per le imprese sia per i privati. Un’evoluzione che porterebbe a un minor surplus e a un incremento nei tre anni del rapporto deficit/pil fino a sfiorare il 3% previsto da Maastricht”, si legge.

Secondo l’analisi di Goldman Sachs, infatti, il 2,4% del 2019 potrebbe poi diventare un 2,7% nel 2020 e un 2,9% nel 2021. Non è tutto. “La politica fiscale espansiva secondo noi non avrà un effetto significativo sulla crescita reale del Pil. Questo perché sarà accompagnata da un significativo aumento del costo del credito, che porterà a una riduzione delle spese per investimento e dei consumi dei privati”. In pratica, col rialzo dei tassi il mutuo potrebbe diventare presto più pesante, sottraendo risorse da destinare, per esempio, ad altri investimenti, piccoli o grandi che siano.

Molto simile il punto di vista dei tedeschi di Scope. Per i quali “l’obiettivo di deficit/pil al 2,4% per i prossimi tre anni annunciato dal governo italiano potrebbe rendere più ardua la sfida per la sostenibilità del debito e porre significativi rischi aggiuntivi sul merito di credito del Paese”.

L’agenzia che sull’Italia ha un rating A- con un outlook negativo, ha sottolineato che il mancato miglioramento della sostenibilità fiscale in un periodo di crescita superiore al potenziale potrebbe lasciare l’economia italiana esposta a significativi rischi di peggioramento. “Una significativa politica fiscale espansiva sarebbe un errore in questa tarda fase del ciclo globale, in quanto va a incrementare la possibilità che diventi necessaria un’austerità fiscale pro-ciclica in recessione, amplificando la severità di quest’ultima”, ha spiegato l’analista Dennis Shen. Tradotto, se taglio le tasse ora e l’economia non si riprende potrei essere costretto a rialzarle dopo.

 

Roma abbiamo un problema. Anzi tre

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