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In queste ultime settimane si sono letti un po’ ovunque articoli che hanno come oggetto il PD. Sembra che la sonora sconfitta del Partito Democratico alle elezioni politiche del 4.3.2018 abbia scosso molte e molti. E giustamente. Purtroppo la stessa cosa non è accaduta (ancora) nel partito. E purtroppo, non stupisce, siamo in linea con quanto accaduto negli ultimi 5 anni. Ad ogni sonora sconfitta, non è mai seguita una riflessione delle ragioni, né è seguito un vero cambiamento.

Leggevo una riflessione di Goffredo Bettini su Huffington Post e mi sono trovato molto in sintonia con lui.  Così come mi sono trovato molto d’accordo con l’intervento di Giuseppe Provenzano all’iniziativa Sinistra Anno Zero. Avevo scritto in merito già qualche tempo fa, proprio qua su Formiche.net, dei rischi che il PD stava correndo con questo genere di approccio, sia nello stile comunicativo, che nello scivolamento sempre più netto verso un leaderismo spicciolo. Ma tant’é. Di Cassandre, in giro, ce ne son state tante.

Quello che occorre fare ora è decidere cosa fare. Il 21.4.2018 si terrà l’Assemblea Nazionale del PD e ancora prima di vedere come procederà la discussione tra delegate e delegati, sono emerse, dal 4 marzo ad oggi, non so più quante auto-candidature a nuovo segretario del PD. L’ultima, in ordine cronologico, è quella di Matteo Richetti. E ancora una volta è la discussione sul “chi” che scavalca e, anzi, calpesta, quella indispensabile e urgente sulle idee.

Quadro generale: i dati

Vorrei partire dai dati. Secondo lo studio di IPSOS infatti, il PD ha perso in modo trasversale tra tutte le classi di età, tra i gruppi professionali e nel livello di istruzione. Restiamo, seppur di poco, in vantaggio nella categoria “over 65”. E più nelle fasce “alte”. Cosa per altro comprovata dallo studio del CISE, che parla di un partito delle élite. Dello studio IPSOS è interessante l’analisi dei flussi. Il PD, infatti, ha trattenuto appena il 43% delle elettrici e degli elettori del 2013, mentre il M5S è al 76%. Inoltre, il PD ha ceduto il 14% dei voti al M5S e 22% al non voto. Tra coloro che votavano per la prima volta non siamo stati molto convincenti. Il M5S, di contro, sì.

Se un partito come la Lega prende un +4 milioni di voti, e il M5S un +1.5 milioni, a fronte di 2.5 milioni persi per il PD, c’è da interrogarsi sul perché. La mia risposta è abbastanza semplice. Il PD ha vissuto rinchiuso in una torre d’avorio (che in realtà era di zucchero). Imbrigliato nella narrazione favolistica del “va tutto bene” e del “quanto siamo bravi” e ancora “abbiamo lo 0,1% in più di questo e di quello” o “da quando ci siamo noi va tutto meglio”. Ecco, questa retorica fastidiosa, portata avanti con uno stile comunicativo pessimo, ha generato un senso di rigetto e antipatia tale per cui, anche le cose buone fatte sono passate inosservate.

Mi pare evidente, quindi, che sia stato bocciato sia il gruppo dirigente del partito, sia il progetto politico (e lo stil novo) che rapprestava. Cosa accadrebbe, dunque, in un partito sano, normale? I dirigenti si dimettono e non toccano palla, lasciando al corpo politico, ai militanti, ai suoi quadri, alle delegate e ai delegati, il compito di elaborare il tutto e di rilanciare il partito.

Rifondare il PD…

Lo avevo accennato qua, che occorre rifondare il PD per rifondare la sinistra. Uno slogan, forse, ma non è molto diverso da quanto ho letto in alcuni passaggi delle riflessioni di Bettini.

Prima di tutto, non possiamo seguire le sirene che suggeriscono di spaccare il PSE per inseguire Macron e il suo movimento, disposto ad allearsi con il M5S o col PD (un po’ come il M5S che vuole allerasi o con il PD o con la Lega indistintamente…) secondo i timori di Gozi, ma soprattutto un movimento con cui non capisco cosa dovremmo condividere. La domanda che manca, nelle verie proposte di Gozi, apparse su numerose interviste, è “con Macron per fare quale Europa?”  o meglio “l’Europa che ha in mente Macron è quella che vogliamo noi?”.

In secondo luogo, il momento di profonda difficoltà in cui ci troviamo dovrebbe, almeno secondo me, suggerire di fermarsi, invece di spingere verso stravolgimenti ulteriori. Quindi, le primarie subito sarebbero un suicidio perché si tratterebbe di una ennesima conta interna, di un nuovo scontro tra correnti personalsitiche, e non tra idee. Sì, perché io non ho proprio niente contro le correnti, anzi. Sono elemento normale dei partiti. Da noi, però, si sono distinte, alcune, per essere più dei cerchi magici, quasi delle sette attorno al culto di una persona. Questo va cambiato.

Serve un momento di confronto interno serio, silenzioso ed operoso tra militanti, tra dirigenti locali, tra elettrici ed elettori, tra mondo esterno al partito e soprattutto dando rilevanza ai ruoli riconosciuti dallo Statuto. L’Assemblea Nazionale sarebbe l’organo che dà la linea politica generale al partito. Delegate e delegati dovrebbero giocare, proprio in momenti come questo, un ruolo cruciale. Invece, da anni ormai, il nostro è un ruolo praticamente inesistente. In due o tre, nei gruppi parlamentari, decidono le sorti del partito: inaccettabile!

Non so cosa accadrà prossimamente, ma quel che mi auguro è che in Assemblea ci sia una vera discussione, e non una ennesima ratifica delle scelte prese dal leader (ora non leader) e dai suoi fedelissimi. Una discussione in cui è dato spazio alla riflessione delle persone che lì sono state elette per svolgere un lavoro. E quindi, che ci sia l’elezione di un segretario da parte dell’Assemblea stessa per esempio, con però conseguente azzeramento della segreteria uscente e di tutti i dipartimenti, che non hanno prodotto nulla di nulla.

Serve un momento ricostitutivo che tenga tutti insieme. Che eviti ulteriori lacerazioni. Ma serve anche che il PD sia promotore di un confronto ampio con tutti i pezzi della sinistra sparpagliati. Una costitutente per rilanciare la sinistra in Italia. Ma il PD non deve perdere se stesso.

Ripartiamo da qua…

Con Fabrizio Barca si era discussa la forma partito ed erano stati prodotti documenti politici di ogni genere. Da Berlino, avevamo contribuito anche noi. Specificando alcune cose come il ruolo della dirigenza, come ripensare le primarie, come ripensare, appunto, il partito in un tempo di cambiamenti.

Occorre,  ed è su questo che mi discosto un po’ da con Bettini, ripartire dai circoli e non dall’esterno.Non dobbiamo creare luoghi fuori dal PD, ma dare centralità ai Circoli sui territori. Questo non significa mettersi seduti ad attendere che qualcuno arrivi, anzi, significa fare attività concrete sul territorio, farsi vedere, andare tra le gente, parlarci direttamente, ben consapevoli del rischio di prendersi qualche mala parola.

Tutto questo, in vero, viene svolto qua e là da molti piccoli circoli, ma senza una rete organizzata e coordinata. Sono rimasti negli anni abbandonati a se stessi o ai capi bastone di turno, privati di risorse umane ed economiche, con sempre meno entusiasmo. E qua mi si consenta una chiosa: aver tolto il finaziamento pubblico è stata una grande sciocchezza, in Germania, per esempio, esiste quello pubblico come quello privato ed è un fattore della democrazia, perché altrimenti a fare ed andare avanti sono e saranno sempre quelli coi soldi, che non faranno certo gli interessi dei più, ma dei pochi se non di se stessi.

In conclusione…

Il Partito deve riflettere su se stesso: cosa è? Cosa vuol diventare? che progetto vuole realizzare? Come e con chi… E quindi, no, le primarie sono la cosa peggiore in questo momento. Serve del tempo per rimettere in sesto la struttura, anzi, per crearla davvero…Per ricomporre le lacerazioni e arrivare ad elaborare un progetto di lungo termine, per definire un perimetro di regole comuni che siano sempre rispettate. In altre parole: dobbiamo diventare un vero partito!

Per rilanciare un progetto politico a sinistra, si riparta dal PD

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