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Cinque stelle all’attacco. Che il ministro Tria trovi i soldi per finanziare le promesse della campagna elettorale. Che Daniele Franco, il ragioniere generale dello Stato, la pianti di sollevare problemi circa la copertura dei singoli provvedimenti. Che l’Ocse si faccia gli affari propri e non interferisca sulle vicende interne dell’Italia. Più che un governo del cambiamento quello che traspare dalla polemica quotidiana sembra essere sempre più uno sfascia carrozze.

Il movente di un simile atteggiamento, secondo le stesse dichiarazioni di Luigi Di Maio, è la presunta difesa dei diritti dei cittadini italiani. Che dopo anni di lacrime e sangue hanno diritto ad un loro momento di felicità. Tradotto: 780 euro al mese a tutti. Giovani: il salario di cittadinanza. E vecchi: la pensione di cittadinanza. Che poi in questa seconda larga platea siano inclusi evasori incalliti, del tutto sconosciuti al fisco, come detto con coraggio da Alberto Brambilla, è cosa del tutto secondaria.

Una pratica antica rinverdita con il linguaggio di una presunta modernità. In passato esistevano le pensioni di invalidità. Da tutti equiparati ad un ammortizzatore sociale per compensare una parte del popolo italiano dalla sofferenza del mancato sviluppo. E quindi concentrate soprattutto nel Mezzogiorno. Dove i 5 Stelle hanno fondato il loro successo elettorale. Elargizioni assistite da un “controllo-colabrodo”. Non vedenti che guidavano le loro auto, ma titolari di un assegno pieno. Presunti paralitici colti a passeggio per la via del Corso. Malati immaginari in grado di resuscitare come Lazzaro. Un sistema falso come un dollaro bucato. Che, tuttavia, ogni tanto, grazie ad un’azione seppur debole di contrasto, diventava evidente nell’indignazione generale.

Per evitare un simile inconveniente, la proposta è stata quella di generalizzare il contributo. Grazie ad un maggior deficit di bilancio, non sarà più necessario ricorrere a false certificazioni mediche. Imbrogli vari con amministratori pubblici compiacenti. Le finte pensioni di invalidità cambieranno nome, saranno estese ad una platea molto più ampia ed il relativo assegno sarà aumentato. Ma non sarà un pasto gratis, il conto relativo sarà posto a carico dell’intera collettività. Oltretutto gravato dai maggiori interessi che i mercati chiederanno per finanziare un debito pubblico che non ha come contropartita una politica di sviluppo, ma di semplice assistenza. Non c’ė che dire: un capolavoro.

Per il salario di cittadinanza sarà più o meno la stessa cosa. All’inizio era stato presentato come lo strumento necessario per realizzare una “politica attiva del lavoro”. Aiutati che Dio ti aiuta. Ti garantisco un reddito minimo per farti uscire dallo stato di depressione legato ad una disoccupazione involontaria. Ma datti da fare. Accetta le offerte di lavoro che ti verranno rivolte. Oppure studia, per accrescere la tua preparazione professionale. Ma se non fai né l’uno nè l’altro, ti riduci ad essere un vuoto a perdere. Senza alcuna speranza di salvezza. Troppo bello, soprattutto troppo impegnativo. Ed allora di fronte alle più immediate esigenze elettorali, meglio tornare al più caro e sicuro assistenzialismo. Costa un botto, ma garantisce qualche voto.

La determinazione, con cui si sostengono queste posizioni contro tutti e tutto, dovrebbe far riflettere. I 5 stelle hanno fatto dell’onestà un bandierone ideologico. Il che ci deve stare, considerando quanto sia diffusa, anche nel nostro Paese, la corruzione. Ma l’onestà intellettuale fa parte di quelle stesse categorie mentali, sempre che si abbia la capacità di comprendere dove può portare una politica dissennata. Ed è allora che il conto non torna. Non si possono invocare le pratiche di governo più deteriori e poi sostenere che questo è il cambiamento. Perché l’ossimoro è evidente. E non basta alzare la voce per voler dimostrare le proprie presunte buone ragioni.

LUIGI DI MAIO

Caro Di Maio, le buone ragioni non hanno bisogno di grida

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