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Il campanello d’allarme ha suonato già una, due, tre volte. Europa, Stati Uniti, Nato hanno gli occhi puntati sull’Italia per capire se sulla Russia il governo Conte passerà dalle parole ai fatti, e il presentimento non è dei migliori. Qui non si parla del legittimo desiderio di abbassare i toni e riaprire un dialogo franco e diretto con il Cremlino. In gioco c’è qualcosa di più concreto. Il no italiano alle sanzioni europee contro Mosca può essere il primo passo di uno sbilanciamento dell’asse atlantico. Poco importa che l’operazione vada a buon fine. In diplomazia, si sa, la forma è sostanza. E un braccio di ferro con gli alleati storici rischia di lanciare oltre gli Urali un messaggio di debolezza e frammentarietà del fronte atlantico.

Le rassicurazioni del leader pentastellato Luigi Di Maio ripetutesi nei mesi scorsi avevano fatto tirare un sospiro di sollievo a Washington. Poi qualcosa è andato storto. Il giovane neoministro del Mise e del Lavoro, in visita agli stabilimenti di Leonardo, ha tagliato corto: “non mi preoccupa l’altolà per le sanzioni alla Russia”. Il ministro dell’Interno Matteo Salvini, ricevuto con ogni onore giovedì sera all’ambasciata russa di Roma, è stato più tranchant. “Sulle sanzioni abbiamo le idee chiare” ha assicurato il n.1 del Carroccio, lasciando aperta la strada per un veto al Consiglio Europeo del 28-29 giugno. Nel mezzo c’è la ministra della Difesa Elisabetta Trenta, che ricevuta dal segretario generale della Nato Jens Stoltenberg ha gettato acqua sul fuoco. L’Italia rispetterà gli impegni, ma chiede in cambio un aiuto nel Mediterraneo, è stato il suo ragionamento a Bruxelles.

“Non ci sarà nessun rischio. La politica italiana è stata sempre sensibile alla Russia” spiega a Formiche.net Nona Mikhelidze, responsabile del programma Europa orientale e Eurasia dell’Istituto Affari Internazionali (Iai). “Lo stesso ex ministro Alfano definiva la Russia il principale partner strategico italiano dopo gli Stati Uniti. Forse il governo precedente era più moderato e dava priorità alla politica europea, dando malvolentieri il consenso alle sanzioni. Ma il quadro rimane lo stesso, vedremo se adesso dalla retorica si passerà alle azioni”. Per l’esperta il governo Conte è consapevole del rischio di un frontale con gli alleati, e ha tutta l’intenzione di sterzare all’ultimo tornando in carreggiata. “Cinque Stelle e Lega sulla Russia abbaiono ma non mordono, il governo ha altre priorità. Il banco di prova sarà il Consiglio europeo di fine giugno che dovrà rinnovare le sanzioni. Non so quanto convenga al governo Conte di mettersi contro tutti in Ue. Schierarsi da soli è un rischio che non vale la pena correre”.

A dire il vero l’Italia non è l’unica a valutare un cambio di marcia sulle sanzioni Ue. Anche i Paesi del gruppo di Visegrad e l’Austria del giovane cancelliere Sebastian Kurtz hanno fatto capire di voler imboccare la stessa strada. Ma nelle prossime settimane tutto può cambiare, chiosa Mikhelidze: ” È vero, c’è un gruppo di Paesi che si è espresso contro le sanzioni. Ma da qui ad andare contro la volontà tedesca o degli Stati Uniti ce ne vuole. Ogni volta che si devono rinnovare le sanzioni il Dipartimento di Stato americano invia qualcuno per sondare le intenzioni degli Stati europei, e lo stesso farà con i Paesi dell’Est Europa”.

Tenere la barra dritta sul no alle sanzioni contro il mancato rispetto degli accordi di Minsk da parte di Mosca non varrebbe la pena neanche per forzare la mano agli alleati europei sul tema immigrazione, “l’unica aggressione in corso”, ha detto Salvini a villa Amabelek. “Le sanzioni europee sono uno strumento un po’ debole da utilizzare come leva nei negoziati sulla gestione dei flussi migratori” commenta scettica la politologa dello Iai. “Dopotutto” – continua– “sono le sanzioni statunitensi a pesare davvero, perché riguardano i settori della sicurezza. Se Salvini vuole concessioni sulla immigrazione deve giocare un’altra carta. Semmai il discorso delle sanzioni rischia di diventare una scusa per la gestione economica del Paese”.

Il governo gialloverde potrà continuare una consolidata tradizione italiana, quella di essere un ponte fra Stati Uniti, Russia e Mediterraneo. Né Francia né tantomeno la Germania possono vantare una così grande apertura alare della loro diplomazia. È però fondamentale non forzare la mano e calcolare attentamente costi e benefici di una virata troppo brusca. Washington attende una risposta, Bruxelles osserva. Adesso il timone è nelle mani di Giuseppe Conte.

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