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Giappone ed Europa mandano un segnale a Donald Trump. Il protezionismo non vincerà, anzi, meglio augurargli vita breve. A tre mesi dallo scoppio della guerra commerciale innescata dalla Casa Bianca, arriva la prima vera risposta globale alla stagione di chiusura dei mercati inaugurata la scorsa primavera dall’amministrazione Trump. Non che l’Europa finora se ne sia rimasta con le mani in mano, visto che un mese fa sono partiti da Bruxelles controdazi per 2 miliardi di euro sulle merci Usa.

Questa mattina è stato firmato a Tokyo l’accordo di libero scambio tra Unione europea e Giappone, il maggiore accordo mai negoziato tra le due aree economiche, con lo sottoscrizione di diverse intese politiche su una serie di temi regionali e multilaterali. A firmare, il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker, il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk e il premier giapponese Shinzo Abe (nella foto).

Il meccanismo dell’accordo è il seguente. Il Giappone eliminerà i dazi sul 94% delle importazioni provenienti dall’Unione europea, incluso l’80% di tutti prodotti ittici e agricoli, che risulteranno in prezzi più economici per manufatti quali il vino, i formaggi e la carne di maiale. L’Unione europea da parte sua cancellerà le imposte sul 99% delle merci giapponesi, garantendo, tra l’altro, una maggiore apertura distribuita su un periodo di 8 anni per il mercato automobilistico, e nell’arco di 6 anni sugli apparecchi televisivi. Quanto al timing, l’intesa dovrà adesso essere ratificata dal parlamento di Ue e Giappone prima di entrare in vigore intorno a fine marzo 2019, prima che avvenga la Brexit, con l’abbandono della Gran Bretagna dall’Unione europea.

Fin qui la parte tecnica, poi ci sono i risvolti politici. I messaggi contenuti nelle dichiarazioni de diretti interessati vanno tutti nella direzione di Washington, mai comunque nominata esplicitamente. Tokyo e Bruxelles hanno parlato di “forte segnale” contro le politiche protezionistiche degli Stati Uniti mentre Tusk ha spiegato con un po’ di fair paly come “con il più grande accordo di commercio bilaterale di sempre, oggi cementiamo l’amicizia giapponese-europea. Geograficamente, siamo distanti. Ma politicamente ed economicamente non potremmo essere più vicini. Con i valori condivisi della democrazia liberale, dei diritti umani e dello stato di diritto”.

Più diretto Juncker, per il quale “con la firma dell’accordo di partenariato economico con il Giappone stiamo facendo una dichiarazione sul futuro del commercio libero ed equo. L’accordo mette equità e valori al centro. Non c’è protezione nel protezionismo e non c’è unità dove c’è l’unilateralismo”.

Dichiarazioni aprte, certamente per Trump si tratta di un ulteriore avvisaglia circa il rafforzamento del fronte globale anti-dazi. L’accordo col Giappone arriva all’indomani di un’altro attacco frontale alla politica commerciale di Trump, il ricorso al Wto da parte della Cina, a sua volta colpita lo scorso mese da una raffica di dazi del valore complessivo di 200 miliardi di dollari. Tutto questo senza considerare che in occasione della firma dell’accordo euro-nipponico, lo stesso presidente Juncker ha ribadito la necessità di riformare il Wto, per renderlo in grando di prevenire eventuali ritorni protenzionisti. Volendo tirare le somme, per Trump nel giro di due giorni sono arrivati due importanti segnali alle sue scelte in materia di politica commerciale.

Non è finita qui. Il patto di libero scambio tira in ballo anche il governo italiano. Che per esempio Matteo Salvini sia un fan dei dazi di Trump è cosa nota. E nemmeno Luigi Di Maio è da meno, vista e considerata la sua posizione estremamente critica verso il Ceta, il trattato di libero scambio tra Ue e Canada. Una questione, quella dei dazi alle merci importate, che avrebbe creato qualche problema anche tra lo stesso leader del 5 Stelle e il premier Giuseppe Conte, come ricostruito dal CorSera qualche giorno fa. Il primo aveva chiesto misure a protezione dei prodotti made in Italy, ma Conte si sarebbe abilmente smarcato. Sarà così anche per l’intesa odierna? Ad ora non si registrano reazioni dei due azionisti di governo, ma chissà.

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