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Nel breve volgere di qualche giorno due episodi hanno raccontato, in modo drammatico e non so quanto avvertito dalla pubblica opinione, l’aria che tira sul piano della possibilità di attingere ancora ad una informazione consapevole e qualitativamente accettabile. Il primo episodio ha avuto una risonanza europea, il secondo una declinazione tutta nostrana. Parliamo dell’affondamento della direttiva europea sul copyright, bloccata nell’aula di Bruxelles col voto negativo di 318 deputati.

Nel merito la direttiva obbligava gli Over The Top, I mastodonti americani del Web come Google, Facebook, Microsoft, Amazon, Twitter, YouTube, eccetera, a riconoscere un compenso agli autori ed editori per l’utilizzo dei contenuti giornalistici e ad attivare un filtro per verificare quali interventi in video potessero violare il copyright. Ebbene l’invincibile armata dei colossi del web ha messo in moto una macchina da guerra mai vista al Parlamento Europeo, con un’azione di lobbying aggressiva e penetrante sui deputati capace di sovvertire il risultato della vigilia,che schierava sulla linea degli Ott solo i parlamentari iscritti ai gruppi euroscettici (Cinque Stelle e Lega in prima fila), i Verdi e la sinistra. Il tutto nel sacro nome della libertà.

Il secondo episodio è la scelta del governo italiano di colpire la carta stampata tagliando 40 milioni di “pubblicità istituzionale” legata alle gare pubbliche. I due episodi sono legati non solo per il colore politico di chi ne ha sostenuto i contenuti – i movimenti che poggiano il loro consenso sulla pervasività della Rete – ma anche perché tendono a produrre un solo effetto: quello della rimozione del giornalista nel rapporto tra l’informazione e il fruitore. È  la filosofia che da qualche anno sta serpeggiando nel rumore di fondo che fa da ispiratore della politica italiana: disintermediazione.

È la stessa filosofia che rimuove i sindacati, le associazioni,gli ordini professionali, i gruppi sociali, i partiti politici. Uno vale uno. E poi: ho il mio smartphone, so tutto quello che devo sapere, se ho qualche dubbio me lo levo con Wikipedia. Non mi serve più niente. Viva la libertà. Già, ma cerchiamo di capire di quale libertà parliamo. Sicuramente della libertà di fare valanghe di danari senza pagare tasse dei padroni americani del Web. Sarebbe forse il caso di riflettere come mai non si rintraccino più tra gli uomini più ricchi del mondo capitani d’industria, tycoon dell’editoria, petrolieri, ma solo i padroni della Rete. Quelli a cui cediamo gratis la nostra identità che poi viene venduta e rivenduta nel lieve gioco del marketing digitale, e siamo pure contenti e sorridiamo perché facciamo ciao ciao o lanciamo vituperida qualche pagina che vola nell’etere e ci fa sentire qualcuno.

L’informazione è un’altra cosa: si svolge all’interno di una partita chiara, con regole certe che si chiamano professionalità e deontologia, perché persino la scelta della gerarchia delle notizie è politica, perché se metto in coda e non in prima la cronaca giudiziaria relativa all’arresto di un personaggio delle istituzioni, ho dato un messaggio preciso sulla rilevanza di quella notizia.

La domanda, allora è: quando la gestione dell’informazione è nelle mani della Rete, non tutelata dalla responsabilità di chi scrive e nemmeno dalla veridicità di ciò che viene scritto – vedi le fake news – o dalla qualità e neppure dalla professionalità dell’autore, chi controlla tutto questo? In una bolla totalmente sregolata che si declina ad esclusivo beneficio degli Ott, in un processo continuo in cui la liquidità è la bussola e l’evoluzione dei prodotti digitali procede in modo esponenziale, per cui la sanzione giuridica rischia di diventare sempre troppo lenta, l’unica vera realtà sono i soldi-tanti – e il potere enorme – che si accumula nelle mani dei padroni del Web. La consapevolezza di tutto questo potrebbe essere già un antidoto efficace. Sicuramente la sopravvivenza della professione giornalistica lo è.

Phisikk du role - L’Invincibile armata degli Ott

Nel breve volgere di qualche giorno due episodi hanno raccontato, in modo drammatico e non so quanto avvertito dalla pubblica opinione, l’aria che tira sul piano della possibilità di attingere ancora ad una informazione consapevole e qualitativamente accettabile. Il primo episodio ha avuto una risonanza europea, il secondo una declinazione tutta nostrana. Parliamo dell’affondamento della direttiva europea sul copyright, bloccata…

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