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Una volta c’era la Cassa per il Mezzogiorno. Poi è arrivata la Banca del Mezzogiorno ispirata dall’ex ministro Giulio Tremonti. Strumenti, leve, per risollevare un’area geografica circoscritta, in questo caso il Meridione d’Italia. Allora perché non allargare il concetto a tutti i Paesi, sia della sponda Sud, sia dell’Ue che si affacciano sul Mediterraneo?

A Tor Vergata ci hanno pensato da tempo, fin dal 2011, quando Pasquale Lucio Scandizzo e Luigi Paganetto, economisti in forza a Tor Vergata e animatori dell’omonima Fondazione reduce dalla trentesima edizione del summit economico Villa Mondragone (qui l’articolo di Formiche.net), proposero alla comunità internazionale l’istituzione di una banca mediterranea per lo sviluppo. Il progetto, dopo una fase di stand by, ha ritrovato nuovo vigore in occasione dell’evento promosso dalla Fondazione Tor Vergata, ponendosi nella condizione di essere seriamente preso in considerazione e conseguentemente attuato dai possibili stakeholder pubblici e privati.

Scandizzo ne ha parlato direttamente con Formiche.net fornendo dettagli preziosi circa una futura Banca per il Mediterraneo. “Il progetto è in piedi da qualche anno, anche grazie alla collaborazione con la Farnesina, che ci ha permesso di portarlo più volte all’attenzione della comunità e delle istituzioni internazionali”, premette l’economista e docente.

“Il modello dal quale la Banca per il Mediterraneo ha preso ispirazione è quello delle Banche multilaterali regionali e, in particolare, della Caf sudamericana (Corporaciòn Andina de Fomento), un ente di credito multilaterale per il finanziamento allo sviluppo dei Paesi dell’America Latina. Per quanto riguarda il meccanismo, esso si basa sull’idea della cosiddetta finanza catalitica e non è molto dissimile da quello applicato nel Piano Juncker, dove una base minima di finanziamenti e di garanzie pubbliche fanno da leva per una raccolta finanziaria molto maggiore di fondi privati e di risparmio”.

Va bene, ma come attingere le risorse per costituire l’istituto? L’economista ha le idee chiare. “Il capitale sarebbe diviso tra istituzioni pubbliche e fondi privati (come nella Caf), mentre il grosso del finanziamento verrebbe assicurato da obbligazioni diversificate, soprattutto quelle di scopo, che cioè sono legate alle caratteristiche degli investimenti da finanziare (obbligazioni verdi, obbligazioni per le infrastrutture, obbligazioni di sostenibilità)”.

Secondo Scandizzo “queste obbligazioni, ed altri strumenti di finanziamento cosiddetti etici potrebbero essere riservati non solo ad investitori istituzionali, quali fondi di investimento, assicurazioni ecc., ma anche alle famiglie, dando loro la possibilità di contribuire direttamente allo sviluppo economico e, allo stesso tempo, di effettuare investimenti remunerativi. Su quest’ultima operazione mi sento di ricordare l’esempio dell’ultima serie di obbligazioni verdi emesse dalla Banca Mondiale, vendute con successo al dettaglio (in pezzi di 1000 dollari) anche in Italia”.

Per quanto riguarda i progetti da finanziare, ovvero su dove indirizzare l’azione della banca, Scandizzo pone al centro il tema della finanza etica. “Le direttrici sono essenzialmente tre. Innanzitutto le infrastrutture, soprattutto quelle verdi per la digitalizzazione e l’efficienza energetica, e le infrastrutture sociali. In secondo luogo, l’innovazione e infine le piccole e medie imprese. Insomma, tutto ciò che ha a che fare con lo sviluppo, in un’area in cui è necessario rilanciare la crescita ma in maniera sostenibile e inclusiva”.

vertice libia mediterraneo

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