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Nessun aereo di quelli che hanno preso parte al raid di Francia, Stati Uniti e Regno Unito a Damasco è partito da una base italiana. È il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni a confermarlo in conferenza stampa questa mattina, garantendo che il supporto di Roma “non poteva in alcun modo tradursi nel fatto che dal territorio italiano partissero azioni militari per colpire la Siria”. Garanzie che però non bastano a placare le polemiche sul raid degli alleati contro Assad. Formiche.net ha chiesto al generale Vincenzo Camporini, già capo di Stato maggiore della Difesa e vice presidente dell’Istituto Affari Internazionali (Iai) qual è il significato profondo dei raid di questa notte, e quali conseguenze ci possono essere per il governo italiano.

Generale condivide la presa di distanza di Matteo Salvini dal raid di Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna in Siria?

Mi sembra in linea con le dichiarazioni di tanti altri esponenti politici, a partire da Paolo Gentiloni. Non vedo il motivo per dire qualcosa di diverso. L’Italia non ha nessun interesse in questo momento a essere coinvolta in questo tipo di operazioni. Vale per il coinvolgimento delle nostre forze armate ma anche delle basi Nato in Italia che devono essere usate per operazioni Nato e non per operazioni militari su base puramente nazionale.

Alcuni aerei alleati però sono decollati nei giorni scorsi dalla base siciliana di Sigonella.

Nessun velivolo che ha partecipato a queste operazioni militari è partito da Sigonella. Nei giorni scorsi sono decollati alcuni Poseidon P8, che sono velivoli di pattugliamento marittimo che nulla hanno a che vedere con i raid di stanotte.

L’Italia può prestare le sue basi militari per ulteriori operazioni degli alleati?

No perché non è in linea con gli accordi internazional. Le basi Nato, che non godono di extraterritorialità ma sono parte del territorio nazionale, sono usate per gli scopi dell’Alleanza Atlantica. Senza una richiesta della Nato serve un assenso specifico del governo italiano, che al momento non ha nessun motivo per concederlo.

Qual è a suo parere il messaggio lanciato da Trump, May e Macron con l’attacco di questa notte?

Siamo di fronte a un attacco puramente dimostrativo, che formalmente ha lo scopo di ridurre le capacità operative nel settore delle armi chimiche. Io sono convinto che sia rivolto a un altro tipo di audience, che non è necessariamente solo la Russia o l’Iran. Credo infatti che sia stato lanciato un messaggio all’Arabia Saudita: gli alleati volevano dimostrare di non essere insensibili alle preoccupazioni saudite per la presenza iraniana nella regione. Non sarei sorpreso se Macron ne avesse parlato con Mohamed Bin Salman nel loro recente incontro a Parigi. Ci sono però anche questioni di politica interna.

Quali?

Tutti e tre i leader sono alle prese con seri problemi di politica interna. Donald Trump ha bisogno di dare un’altra immagine di sé per smarcarsi dal Russiagate, Theresa May deve fare fronte al caso Skripal e gestire una Brexit che si sta dimostrando molto più dolorosa del previsto, Emmanuel Macron ha un calo verticale di popolarità a casa propria e una serie di scioperi che continueranno nei prossimi giorni. Mostrare i muscoli e dar mostra della loro capacità di leader fa comodo a tutti e tre in questo momento.

Dunque gli alleati che hanno preso parte alle operazioni non stanno meditando un piano per un regime change a Damasco?

Non c’è neanche la minima possibilità di provocare un regime change. Un’operazione militare di questo calibro avrebbe bisogno di truppe sul terreno, di continuità, e soprattutto di non correre il rischio di scontrarsi con i contingenti russi. I raid di questa notte mi sembrano piuttosto una punizione inflitta al “cattivo di turno”, cioè Assad, che è accusato di aver utilizzato armi chimiche.

Sono solo accuse o c’è di più?

Tutti affermano di avere le prove ma per adesso non se ne vede l’ombra, io credo che queste accuse debbano essere provate al più presto. Non si può avviare un processo basato su affermazioni non sostanziate da qualche prova concreta.

Colpire con i missili le postazioni di Assad a Damasco è stata una mossa avventata?

Sarebbe stato opportuno aspettare il responso di una commissione di inchiesta internazionale. Non capisco perché, prima di avviare qualsiasi tipo di operazione, non sia stato coinvolto uno strumento multilaterale e indipendente come l’Opcw. Peraltro leggo che secondo alcune ricostruzioni l’attacco chimico a Duma è stato fatto con il cloro, che per qualche strano cavillo giuridico non risulta essere fra le sostanze proibite dalla convenzione contro le armi chimiche. Insomma ci troviamo in una zona molto grigia.

Ci sono gli estremi per un’operazione sotto l’ombrello della Nato cui possa prendere parte anche l’Italia?

La Nato non è un ente astratto. È l’insieme dei Paesi alleati di cui fa parte anche l’Italia. Una qualsiasi operazione deve ottenere il consenso italiano, perché su queste basi vengono prese le decisioni dell’Alleanza Atlantica. Non possono arrivare costrizioni dall’esterno cui il nostro governo si deve adeguare. Ci sono poi delle vie di mezzo. Durante le operazioni in Kosovo la Grecia optò per lo strumento dell’astensione costruttiva: si astenne dalla decisione presa senza impedirla, ma avrebbe potuto farlo.

Quale altro ruolo può giocare il nostro governo per favorire la de-escalation nella regione?

Ad esempio smantellare le armi chimiche eventualmente trovate in Siria, lo abbiamo già fatto in passato. Ma se l’Italia vuole avere un ruolo in questa vicenda deve avere un governo che non sia in carica solo per gli affari correnti. Finché non usciamo da questo stallo istituzionale l’Italia rimarrà assolutamente marginalizzata nel contesto internazionale.

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