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C’è stato un elemento comune a quasi tutte le culture politiche repubblicane che fa capolino anche oggi, che quelle ideologie si sono profondamente trasformate o sono addirittura scomparse. La potremmo chiamare la delegittimazione morale dell’avversario politico, anche se è qualcosa di più sottile che si connette probabilmente a quella inconscia equazione che alberga nei nostri animi e che ci porta a considerare a prescindere ciò che è di destra non diverso da ciò che è di sinistra ma semplicemente cattivo e “fascista”.

Ieri Eugenio Scalfari, in una di quelle affermazioni che sembrano sbocciare improvvisi e inaspettati nei suoi prolissi editoriali, ha affermato che, fra Lega e Movimento Cinque Stelle, solo quest’ultimo può essere considerato “populista”. Il che è vero, se si considera la sua identità abbastanza fluida e la una visione semplice, o addirittura semplicistica, che il movimento ha della realtà politica (basata su alcune idee-simbolo e astratte come l’onestà, il “reddito di cittadinanza”, ecc.) L’affermazione di Scalfari, se ho ben capito, significa che il partito di Salvini è un’altra cosa.

Cosa è, allora, per la precisione? Anche se nessuno lo dice, la Lega è oggi semplicemente e nettamente un partito di Destra. Certo, lo stile e i modi di comunicazione di Salvini sono rozzi e non compassati come erano un tempo quelli dei leader della Destra. Ma, fatta la tara di ciò, considerato che viviamo in un epoca in cui la volgarità è stata non solo sdoganata ma è divenuta ahimé anche un particolare modalità di comunicazione (quasi a voler ricalcare la vicinanza dei leader alla gente semplice), c’è qualcosa nel programma di Salvini che non possa essere ascritto all’orizzonte culturale della destra? Quella storica, intendo dire, tutta “legge e ordine”, basata sulla triade Dio, Patria, Famiglia? Certo, il liberal-liberismo è molto annacquato, avendosene un vago sentore solo nella proposta (difficilmente realizzabile) della flat tax. Ma, d’altronde, la conversione liberistica della destra era avvenuta solo negli anni Ottanta del secolo scorso con Margareth Thatcher e Ronald Reagan, non essendo il liberismo legato per sua natura storicamente a una sola parte politica (si pensi solo al fatto che in Italia liberisti convinti furono personalità come Piero Gobetti e, almeno in certi periodi, Gaetano Salvemini, certo non ascrivibili a un orizzonte conservatore).

Resta la questione del “sovranismo”, un termine-concetto di nuovo conio che non significa nulla e segnala solo la difficoltà di rifare i conti con una prospettiva politica in cui è centrale l’“interesse nazionale”. La cultura politica dominante nel secondo dopoguerra, forgiata soprattutto da forze internazionaliste (i comunisti) o comunque universali (il cattolicesimo politico), innestatasi nel processo interno di “morte della Patria” seguito all’indecorosa caduta del fascismo, e in quello esterno di esasperazione dei nazionalismi, avvenuto nel corso della “crisi della civiltà europea” che aveva portato alla guerra, ha portato a guardare con sospetto a questo concetto, che indubbiamente oggi, non solo da parte della Lega, si ritenta di mettere in auge.

Detto questo sul partito di Salvini, vorrei concludere con tre considerazioni a margine: 1) l’arrivo al governo, almeno in parte (c’è sempre l’incognita dei cinquestelle), della Destra, è legittimo e deve essere affrontato con più serenità; 2) esso aiuta una sana dialettica politica, soprattutto se la sinistra, sotto lo stimolo degli avvenimenti, saprà reinventarsi; 3) ciò rende difficoltoso, direi come sempre, il compito di noi liberali, che non possiamo ritrovarci né nelle forze di in questo governo né in quelle ad esse alternative (almeno per come sono configurare oggi).

Quanto mai, d’altro canto, il liberalismo non è stato minoritario nel nostro Paese, e non solamente, programmaticamente e giustamente all’opposizione? L’obiettivo per i liberali resta quello di sempre: immettere germi di liberalismo in un terreno molto ostico. E’ difficile, e potrebbe alienante, ma è la nostra “condanna”.

Salvini

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