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Con il pressapochismo e la tendenza al paragone inopportuno che caratterizza questi giorni, si sente dire sempre più spesso che l’Italia farà la stessa fine della Grecia. Si tratta di un’affermazione scorretta in quanto il Bel Paese rischia di finire peggio dell’Ellade. L’Italia tecnicamente è già defaultata e una sua (ipotetica) rottura con l’Europa determinerebbe il caos su mercati ed economie nazionali, in primo luogo quelli di casa nostra, ma con ricadute che si avvertirebbero in tutta l’Eurozona e non si limiterebbero a questa.

Il nostro Paese ha poi circa cinque volte gli abitanti della Grecia e un tessuto industriale che ci permette, anche con condizioni così drammatiche, di essere ancora il secondo manifatturiero d’Europa e di definirlo molto più complesso (e produttivo) di quello ellenico, che, di per sé, è praticamente inesistente. Ne deriva che la situazione di Atene, per quanto tragica e difficile da affrontare dal punto di vista umano, era relativamente lineare da quello economico, visto che gran parte del debito greco era dovuto a uno Stato troppo pesante, insostenibile per un Paese con quella struttura economica, e a una corruzione (in questo sì, che le due nazioni si somigliano molto) e un’economia sommersa che nel 2011 era pari al 30% del Pil.

Se insomma l’Italia è più complessa della Grecia, è anche molto più difficile da aiutare, sia per l’onerosità degli interventi sia perché mettere le mani in un’economia come quella italiana è un rischio che molto probabilmente nemmeno i creditori internazionali si vogliono prendere.

Permettetemi però, da attenta osservatrice della crisi del debito greco, di evidenziare anche una profonda differenza nella situazione politica fra i due Paesi. In Grecia il movimento anti austerity ha avuto una matrice ideologica ben determinata, che si può fare coincidere con la nascita di Syriza, una coalizione di partiti di sinistra, più o meno radicali, con a capo un giovane ambizioso, Alexis Tsipras, messo lì dai dirigenti più anziani, convinti che ci fosse bisogno di un ricambio generazionale. Non è questa la sede opportuna per ricordare come Tsipras abbia fallito la sua sfida con Bruxelles e di come Atene sia dovuta rimanere ‘sotto il giogo’ dell’austerity, evitando però così il default e l’uscita dall’Eurozona.

Quello che invece ci importa sottolineare è che un movimento come Syriza, apprezzabile o meno per la sua linea ideologica e programmatica, e chi scrive, come noto forse ai lettori di Formiche.net, non fa di sicuro parte dei fan sfegatati, era tutto fuorché l’armata Brancaleone, ossia la coalizione giallo-verde, protagonista di queste tormentate giornate italiane. Era un partito unico, che affondava le sue radici in una storia e un’azione politica consolidata il cui motivo ‘anti austerity’ era solo una delle componenti, anche se, con la crisi dei mercati era finita per diventare la principale.

Dal punto di vista pragmatico certo sono stati molto deficitari e si sono fatti cogliere impreparati dalla gestione del potere, ma Tsipras e il suo partito potevano contare, dentro e fuori la Grecia, di una cordata di economisti di fama internazionale, che certo non piacevano a Bruxelles, ma che hanno cercato di dare vita a due modi diversi di vedere l’Europa. Fra questi c’erano, oltre al mediatico Yannis Varoufakis, che però ha abbandonato quasi subito per proseguire con una ‘carriera autonoma’ e uomini ‘dietro le quinte’ come John Milios, Yannis Drakasakis ed Euklides Tsakalotos a cui tutto si può dire, ma non di avere agito sull’onda dell’entusiasmo e di non essere stati coerenti e compatti dal punto di vista teorico fin dal primo momento. A questi nomi, si devono aggiungere anche alcuni premi Nobel, incluso il solito Krugman, da tempo dedito a una sua personale battaglia anti sistema. Il tutto, detto con il massimo rispetto per il professor Paolo Savona, uno studioso il cui profilo non è minimamente in discussione, ma che in passato ha espresso posizioni comprensibilmente poco accettabili per la Ue, almeno quella che vediamo oggi.

Mi preme fare capire che, in occasione della crisi del debito greco, è andato in scena qualcosa di diverso, più semplice da una parte, più complesso dall’altra, di quello a cui stiamo assistendo in questi giorni in Italia. Credo che la parte più interessante, sia stato lo scontro fra due modi diversi di vedere il mondo, dove più che la politica a condurre le regole del gioco siano state teorie economiche che si scontrano da decenni. Alla luce di queste considerazioni, ogni paragone, quando non contestualizzato, con l’Italia rischia solo di contribuire ad aumentare il montante populismo e euroscetticismo.

Si badi bene: il secondo è comprensibile. Auspicare un miglioramento dell’Europa, la nascita di un’Europa più giusta e più equa, è lecito e doveroso. Dipende però da come lo si vuole fare. Per questo, pur non condividendo nelle basi economiche ed essendo scettica sulla reale fattibilità delle loro proposte, penso che, ai tempi del primo governo Tsipras, la Grecia sia stata molto più seria di noi, ora.

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