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Si chiama Industria 4.0, un nome facile per un paradigma industriale nient’affatto semplice che contiene numerosi aspetti, più e meno visibili. Non si limita solo a quelli tecnologici, ma va ben oltre: modifica i processi delle aziende e tocca trasversalmente i settori più vari delle economie sviluppate (e non). Si concentra sulla formazione delle competenze, dalle più evolute alle più basilari, e riscrive i cardini del sistema educativo e formativo che siamo abituati a conoscere da decenni. E, ancora, interviene sul ben più complicato aspetto culturale del “fare impresa”. Insomma, un coacervo di fattori che non viaggiano più su binari paralleli ma che devono essere considerati insieme, nel loro complesso.

Tanti sono i passi in avanti compiuti negli ultimi anni anche se continuano a non mancare alcuni punti deboli. In particolare il sistema delle piccole e medie imprese, il vero cuore del nostro tessuto economico: realtà aziendali anche di grandissima qualità che però fanno ancora troppa fatica a cogliere l’importanza e i benefici concreti di questa epocale rivoluzione.

Se l’aspetto tecnologico non è il solo e, in certi casi, nemmeno il più importante, è anche vero che è quello che più ci aiuta a capire lo stato dell’arte: se guardiamo, infatti, al grado di diffusione delle principali tecnologie considerate abilitanti del paradigma Industria 4.0, notiamo subito quanto rilevante sia la questione: la tecnologia più diffusa è l’enterprise resource planning, che però solo poco più di una PMI su tre adotta (a fronte dell’80% delle grandi imprese); non va meglio per i sistemi di customer-relationship management (CRM) o di supply chain management (SCM) elettronico; e ancor inferiore è la diffusione di sistemi di identificazione a radiofrequenza (Rfid), del cloud computing ad elevato livello di sofisticazione o dell’analisi dei Big Data, le tre tecnologie che rappresentano il vero futuro, forse, dell’Industria 4.0, e di cui solo una PMI su dieci sembra aver colto l’importanza (un terzo rispetto alle imprese di maggiori dimensioni).

grafico industria 4.0

È in questo contesto e con l’obiettivo di porre rimedio alla situazione che il Governo lavora da mesi per dare forma ai poli d’innovazione di Industria 4.0. Un percorso che in questi giorni ha condotto a un importante accordo tra il ministero dello Sviluppo economico e quello dell’Economia e delle Finanze grazie al quale ora sul tavolo ci sono 40 milioni di euro: risorse definitive destinate ai tanto attesi competence center.

COSA SONO I COMPETENCE CENTER

Si chiamano centri di competenza ad alta specializzazione ed il decreto pubblicato sul sito del MISE li definisce come centri costituiti da più soggetti, pubblici e privati (con la partecipazione di almeno un organismo di ricerca), nella forma di partenariato pubblico-privato, allo scopo di realizzare un programma di attività che abbia come destinatari le imprese, in particolare le PMI. I competence center erogheranno a favore delle aziende in particolare tre categorie di servizi. Innanzitutto l’orientamento cui si aggiunge poi anche la formazione con il doppio l’obiettivo di diffondere competenze – su un piano sia teorico che pratico – e di far comprendere alle imprese i reali benefici in termini di riduzione dei costi e aumento della competitività derivanti dall’applicazione di un modello Industria 4.0. Infine l’attuazione di progetti di innovazione, ricerca industriale e sviluppo sperimentale, che abbiano ad oggetto la realizzazione (o un notevole miglioramento) di prodotti, processi o servizi e l’innovazione dell’organizzazione delle PMI. Così da favorire forme di collaborazione tra le imprese stesse.

LE RISORSE A DISPOSIZIONE DELLE AZIENDE

Il contributo, destinato esclusivamente ai centri di competenza, è pari al 50% delle spese sostenute, fino a un massimo di 7,5 milioni di euro. Fondi, quest’ultimi, destinati alla costituzione e all’avviamento dell’attività del singolo centro di competenza. A disposizione anche somme pari sempre al 50% dei costi sostenuti per il singolo progetto fino all’ammontare massimo di 200.000 euro. Le spese ammissibili spaziano dall’acquisto di impianti e macchinari ai servizi di consulenza tecnologica, dall’organizzazione di corsi di formazione su tecnologie e applicazioni in ambito Industria 4.0 alle attività di marketing del centro stesso, dai diritti di proprietà intellettuale al costo del personale dipendente (quest’ultimo nella misura massima del 65% delle spese complessive).

Giusy Massaro, research fellow dell’Istituto per la Competitività (I-Com)

 

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