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Alla vigilia delle elezioni italiane gli occhi dei mercati internazionali e dei palazzi europei sono fissi su Palazzo Chigi. Messi da parte i catastrofismi alla Juncker, che si è spinto a prevedere un “governo non operativo”, peraltro poi tornando sui suoi passi, resta una certa preoccupazione nel mondo della finanza, soprattutto per l’effetto che le centinaia di promesse elettorali (di qualsiasi colore), qualora fossero attuate, avrebbero sul debito pubblico italiano. Intervistato da Formiche.net Federico Santi, analista esperto di Europa di Eurasia Group, la società di consulenza strategica per gli investitori fondata da Ian Bremmer nel 1998, spiega come gli investitori e gli Stati membri guardano al 4 marzo, alla candidatura di Antonio Tajani per il centrodestra, alla sostenibilità del debito italiano.

Antonio Tajani è ufficialmente il candidato premier di Forza Italia. Come hanno reagito i mercati?

Certamente il suo è un nome spendibile, era nell’aria già da tempo. Alla luce di quello che ci hanno detto i nostri clienti, credo che la sua candidatura sia stata vista molto positivamente dai mercati e anche da parte delle cancellerie europee. È una figura nota, una persona molto pragmatica, è ritenuto affidabile dall’Europa, e può controbilanciare la parte più preoccupante della coalizione, quella euroscettica di Salvini e Meloni.

Che giudizio danno della sua presidenza dell’Europarlamento i palazzi di Bruxelles?

Il suo operato è giudicato in modo positivo: è stato in grado di lavorare con tutti e a gestire passaggi non facili. La presidenza del parlamento europeo è una forza ma in queste condizioni può anche divenire una debolezza: se dovesse lasciarla per salire a Palazzo Chigi Tajani sottrarrebbe all’Italia un importante palcoscenico istituzionale in Europa, a poco meno di un anno dalla scadenza della presidenza della Bce di Mario Draghi.

C’è chi dice che la posizione di Tajani in Europa può lasciare aperta una porta per una presidenza italiana della Commissione..

È ancora presto per fare pronostici, bisogna ancora capire se si seguirà la procedura di nomina della scorsa volta o se sarà il Consiglio a imporsi. L’Italia ha delle chances, è un ruolo che ha già occupato. È possibile, ma non probabile, perché quasi sempre gli incarichi di alto livello in Ue sono ripartiti fra gli Stati membri secondo una dinamica Nord-Sud, e recentemente due Paesi del Sud, Italia e Spagna, hanno ottenuto due cariche importanti, rispettivamente la presidenza dell’Europarlamento e la vice-presidenza della Commissione.

Con l’uscita di Mario Draghi dalla Bce il prossimo anno e la fine del quantitative easing l’Italia come garantirà la sostenibilità del suo debito?

Sicuramente l’Italia è fortemente vulnerabile a un probabile aumento dei tassi nel medio periodo. Ad ogni modo un cambio di direzione della politica monetaria europea non sembra imminente. La BCE ha voluto assicurare che continuerà a reinvestire gli importi delle loro holding di titoli, un aumento dei tassi di interesse ci sarà, dopo una pausa piuttosto lunga, solo con la fine degli acquisti netti.

L’Italia è pronta a reagire a un cambio di politica monetaria della Bce?

A sentire gli analisti di mercato l’Italia è più vulnerabile rispetto ad altri Paesi dell’Eurozona, a causa di un mix letale di bassa crescita e debito, assieme a una fragilità strutturale del sistema bancario, solo parzialmente risolta. Dipende molto poi dalla lettura che viene data: ad esempio la Banca d’Italia si è mostrata ottimista sui tassi d’interesse, perché oggi sono talmente bassi che un loro aumento non necessariamente creerà degli scompensi.

Qual è l’output elettorale del 4 marzo che spaventa di meno i mercati?

A mio parere un governo di larghe intese. Anche un governo di centrodestra però non scuoterebbe eccessivamente i mercati, perché gli investitori sanno che molte delle promesse elettorali a danno del debito non si realizzeranno. Certo, nel centrodestra preoccupa soprattutto la spinta per l’espansione fiscale di Fratelli d’Italia e la battaglia anti-tasse della Lega, le cui coperture non sono chiare.

Quali dei tre grandi schieramenti politici sarebbe visto favorevolmente al governo dalla Russia di Putin?

Dei tre probabilmente una coalizione di centrodestra, per l’amicizia personale fra Putin e Berlusconi, ma soprattutto per la campagna anti-sanzioni della Lega di Salvini. Tuttavia, come ha recentemente rilevato il New York Times, il Cremlino non ha bisogno di intervenire nelle elezioni italiane, perché quale che sia il risultato non corre rischi, la linea di politica estera italiana non cambierà più di tanto. La linea atlantica non è in discussione, e lo stesso Berlusconi avrebbe difficoltà a votare contro le sanzioni in Europa.

Visto che lei vive a Londra le chiedo: Downing Street è preoccupata per le elezioni di domenica?

A prescindere da chi andrà al governo, il governo di Theresa May vede nell’Italia, assai più dell’asse Francia-Germania, un partner per i negoziati della Brexit. D’altronde il governo Gentiloni è stato uno dei primi a proporre un accordo ad hoc per mantenere il mercato aperto al Regno Unito, tracciando una strada che hanno seguito anche Spagna e Olanda. Anche in questo caso una coalizione di centrodestra, specialmente per l’ostilità a Bruxelles di Lega e Fratelli d’Italia, potrebbe spalleggiare alcune richieste di Londra con più vigore.

Elezioni, per Bruxelles e i mercati ogni promessa è debito. L’analisi di Federico Santi (Eurasia Group)

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