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Si è tenuto nei giorni scorsi a Roma un incontro tra l’Associazione fra le Banche Popolari e il Fondo Monetario Internazionale, un’occasione utile, tra le altre cose, allo scopo di smontare alcuni luoghi comuni sulle banche del territorio. I luoghi comuni, ne siamo convinti, quando non esprimono altro che ovvietà possono essere dannosi per il semplice fatto che allontanano dalla verità. Proviamo allora a sfatarli con onestà intellettuale, con serietà e con l’obiettività dei fatti e dei numeri.

“In Europa ci sono troppe banche”. È davvero così? Qualcuno ha fatto il paragone, ad esempio, con gli Stati Uniti? Le banche, nell’area euro sono 4.773 (dato del 2017). Negli Stati Uniti sono 5.900 – 11.700 se includiamo anche le 5.800 Credit Unions – 1’80% in più di quelle dell’eurozona. L’eccessiva bancarizzazione, come spiega efficacemente già da quattro anni un autorevole organismo europeo, l’European Systemic Risk Board (ESRB), si riferisce non al numero di banche ma, al contrario, al peso eccessivo di un numero troppo esiguo di banche molto grandi. Ci sono poi i luoghi comuni sulla realtà italiana: “le piccole banche di territorio non hanno futuro” e “le imprese italiane sono troppo piccole”. Sì, è vero: il 99,9% delle imprese italiane sono di piccola o media dimensione. Il 95,3% hanno meno di 10 dipendenti. Ma perché mai “troppo”? “Troppo” rispetto a cosa? Le Pmi generano 1’80% dei posti di lavoro e il 70% del valore aggiunto. Grazie a questa morfologia, l’economia italiana vanta, in Europa, invidiabili primati: primo paese per valore aggiunto agricolo, secondo per valore della produzione manifatturiera, ancora secondo per pernottamenti di turisti stranieri, presenza del maggior numero di imprenditori dell’Ue (3,8 milioni). Le banche mutualistiche, per loro natura sono quelle più vicine ai micro e piccoli imprenditori e sono le uniche capaci di integrare quel modello, tipicamente italiano, come abbiamo visto vincente, di imprenditorialità diffusa. A dimostrazione di ciò un po’ di numeri: con 226 miliardi di euro di impieghi, 264 miliardi di euro di raccolta e un attivo totale di 270 miliardi di euro, le Banche popolari e del territorio rappresentano il 12,5% del sistema bancario italiano. Se non hanno futuro le piccole banche non ha futuro l’intera imprenditoria italiana.

Luoghi comuni legati alla crisi: “Le banche locali hanno svolto, solo in parte, una funzione anticiclica”. Nella grande crisi 2007-2014, la funzione anticiclica delle Banche popolari è stata documentata da autorità indipendenti. Le Popolari, anche nella congiuntura avversa, hanno dato più credito all’economia reale, con una crescita media annua dei finanziamenti del 2,0% contro un dato medio dello 0,5%; hanno erogato nuovi finanziamenti a Pmi e alle famiglie per acquisto di abitazione rispettivamente per 300 e per 100 miliardi di euro a un tasso più basso nell’ordine di 10 basis point per le Pmi e di 20 basis point per i mutui relativi a compravendite immobiliari. Tradotto significa che la presenza di banche locali, radicate nei territori, ha notevolmente mitigato l’impatto della crisi proprio grazie alla “prossimità” sul territorio. E, ancora legato ai cambiamenti della crisi, si pone il tema dell’importanza data alla finanza di impatto sociale arrivando ad affermare che “la finanza d’impatto sociale è una delle novità del mercato finanziario”. Ogni 100 euro di risparmio raccolto dalle Banche popolari nei territori di riferimento, 76 vengono reinvestiti nella stessa area con evidente beneficio per il lavoro e il reddito in quella zona. A questo si aggiunge la destinazione di parte degli utili (100 milioni di euro nel 2017) a favore della beneficenza, dell’attività culturale e della promozione di borse di studio negli stessi territori.

È questo l’impatto sociale che la finanza mutualistica ha sempre prodotto essendo la sua caratteristica fondante. Ma la crisi ha portato ad affermare anche che “le banche locali sono maggiormente a rischio di instabilità”. A parte casi isolati – che però hanno riguardato anche importanti banche S.p.A. – le Popolari hanno evidenziato livelli di patrimonializzazione significativamente superiori a quanto richiesto dalla normativa confermando pienamente la propria solidità. Secondo i dati della Banca d’Italia, aggiornati a fine 2016, le Popolari registrano un coefficiente relativo al CET1 del 12,8%, al Tier1 del 13% e complessivo del 15%, valori superiori alla media nazionale di circa un punto percentuale e ampiamente al di sopra dei requisiti minimi. Quando l’innovazione diventa contrapposizione tra vecchio e nuovo, il luogo comune è facile: “le banche del territorio non intercettano l’innovazione”. 4 milioni di famiglie e 250 mila imprese clienti delle Popolari hanno utilizzato, nel 2017, quotidianamente il canale internet sia a fini informativi che dispositivi.

Il numero di famiglie che utilizza i canali digitali è cresciuto del 6%, i bonifici effettuati via web, sono stati, sempre nel 2017, 10 milioni, quelli effettuati con collegamenti telematici diversi da internet 14 milioni, per un totale di 24 milioni di operazioni, pari all’80% del totale. I bisogni di famiglie e imprese, tecnologicamente più avanzate, insieme a quelli di chi cerca o ha bisogno, comunque, della fisicità dello sportello – che non è affatto detto siano soltanto persone anziane, ma spesso sono gli stessi clienti “tecnologicamente più alfabetizzati” – realizzano, insieme, il duplice obiettivo di semplificare la comunicazione e mantenere forte il legame tra le banche e i propri clienti.

Niente è più efficace di un luogo comune che trasforma in verità ciò che vero non è per il solo fatto di essere detto e ripetuto pubblicamente. In un mondo che fa della comunicazione il suo principale totem è possibile e dovrebbe essere doveroso, anche se più difficile, andare contro corrente per realizzare delle operazioni di verità.

 

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Luoghi comuni e miti da sfatare sulle Banche popolari

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