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La visita della premier italiana Giorgia Meloni in questo frangente storico era estremamente difficile e quindi già partiva male. Forse anche per questo è riuscita a complicare ulteriormente una situazione globale molto delicata.

In breve, la firma alla Via della Seta del 2018 aveva incastrato l’Italia. La metteva in posizione di scontentare gli alleati e la Cina. Gli alleati erano scontenti perché era stato firmato un accordo politico che non volevano, e i cinesi perché l’Italia non avrebbe mantenuto le promesse fatte. Oggi l’Italia è uscita dalla Via della Seta ma ha siglato nuovi accordi che ugualmente mettono l’Italia in posizione di scontentare alleati e Cina.

C’è l’accordo sull’auto elettrica, che va contro le restrizioni del settore chieste dalla Ue. C’è l’accordo sull’Intelligenza Artificiale, territorio tecnologico di punta. Su questo terreno c’è un divario estremamente profondo tra Cina da una parte e Ue e Usa dall’altra e al tema da mesi il G7, a presidenza italiana, ha dedicato fiumi di riunioni. Infine, c’è un accordo su Fincantieri, che va ad aiutare di fatto la marina militare cinese che pattuglia il mare intorno a Giappone, Taiwan, Taiwan o Filippine contro le marine di questi paesi e marine europee (tra cui italiana) e americana. Non è chiaro cosa potrà fare l’Italia se non irritare Cina o alleati, e magari entrambi. Inoltre, i segnali non erano mancati.

Alla partenza di Meloni per Pechino, il 28 luglio, si è tenuta proprio a Roma una riunione dei servizi di Usa, Israele, Egitto e Qatar su Hamas a Gaza. Il 23 luglio Pechino aveva ospitato una riunione di tutte le 14 fazioni palestinesi (compresa Hamas), in funzione apparentemente antisraeliana. Inoltre, il 29 luglio, a Tokyo Usa, Giappone e Sud Corea hanno firmato un importante accordo di sicurezza per il nord Pacifico in funzione apparentemente anticinese.

Questa danza di riunioni intorno al viaggio di Meloni testimoniano una irritazione degli alleati verso la premier italiana. Provano che quantomeno è mancato un coordinamento con gli alleati per il viaggio e i suoi contenuti. Perché allora è stato fatto e poi fatto così? Forse c’è una mancanza di profondità di visione politica o c’è la scommessa che Donald Trump vincerà le elezioni presidenziali in Usa e cambierà la politica con la Cina?

Ma questo, se fosse, è un calcolo palesemente errato. Non sappiamo se Trump sarà eletto e se anche fosse potrebbe essere più duro con la Cina di oggi. Inoltre, anche se Trump fa un patto con la Cina, prima vuole farlo lui e poi lo faranno gli alleati, altrimenti si rovinano le condizioni per le trattative. In ogni caso le iniziative di Meloni rischiano di rovinare anche un improbabile accordo americano, cosa che avrebbe ripercussioni anche per la Cina.

Comunque, approfondisce linee di frattura con l’Unione europea che sta prendendo posizioni diverse con Pechino. È peregrina e pericolosa l’idea che l’Italia, con un rapporto debito/Pil del 140%, garantito dalla Bce, possa permettersi una politica commerciale o tecnologica autonoma dalla Ue, oppure faccia asse con quella dell’Ungheria (con un Pil che è un decimo di quello italiano).

Non è qui forse il momento di capire quale sia il calcolo cinese dietro gli accordi ma di certo così il governo dell’Italia cammina su una lastra di ghiaccio molto sottile. Non c’è un solo ritorno positivo per gli alleati e ci sono solo ritorni negativi a tutto tondo. L’Italia avrebbe dovuto andare in Cina, sì credo, ma fare discorsi veri e onesti a Pechino.

Avrebbe dovuto dire: Roma può fare certe cose e non altre. Avrebbe dovuto dire, c’è la storia e c’è la politica, si celebra il settimo centenario della morte di Marco Polo, un italiano (quando non c’era l’Italia politica) che per primo introdusse la Cina in Europa, che per secoli ne aveva in sostanza ignorato l’esistenza. Quindi pensiamo alla storia e da quello cerchiamo di ricostruire la politica.

Questa verità, pragmatica, non ideologica, avrebbe aiutato tutti, la posizione dell’Italia, della Cina, della Ue, e degli Usa.

Vi racconto il giallo di Meloni che scontenta tutti. Scrive Sisci

Non è forse il momento di capire quale sia il calcolo cinese dietro gli accordi, ma di certo così il governo dell’Italia cammina su una lastra di ghiaccio molto sottile. Non c’è un solo ritorno positivo per gli alleati e ci sono solo ritorni negativi a tutto tondo. L’Italia avrebbe dovuto andare in Cina, sì, ma fare discorsi veri e onesti a Pechino. Il commento di Francesco Sisci

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