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L’America di Donald Trump non sarà l’unico Paese a porre in primo piano (first) l’interesse nazionale. A dimostrarlo è il nuovo rapporto del 2018 sulle nuove minacce globali presentato davanti al Comitato dell’Intelligence del Senato da Dan Coats, direttore dell’Intelligence Nazionale. Prendendo la parola dopo il direttore dell’Fbi Christopher Wray e del n.1 della Cia Mike Pompeo, Coats ha introdotto come ogni anno i risultati della ricerca dell’intelligence statunitense. Il quadro delineato è quello di un mondo che vede una continua crescita di conflittualità inter-statale, nascosta dietro la coltre del fragile sistema multilaterale. Non sono solo i conflitti armati o la corsa al nucleare a preoccupare. L’intelligence scorge invece nel 2018 il pericolo di una minaccia relativamente nuova: la guerra cyber operata da organizzazioni governative ma anche collaterali ai governi ufficiali, il dumping per truccare la concorrenza, le nuove tecnologie che distruggono il mercato del lavoro per ricrearne un nuovo, non sempre favorevole agli interessi di Washington. Più che la minaccia, nuovi sono i mezzi. Contrari al diritto internazionale, quando Paesi come Russia e Cina, spiega Coats, si prodigano per minare gli Stati Uniti attraverso furti di diritti di proprietà intellettuale, attacchi hacker, proliferazioni di nuove armi disseminate nello spazio, che gli stessi Stati hanno solennemente promesso di non produrre. È il nuovo “sharp power” di cui hanno scritto Cristopher Walker e Jessica Ludwig in un recente rapporto per la National Endowment for Democracy che ha fatto parlare di sé.

LE NUOVE TECNOLOGIE: UNA MINACCIA AL MERCATO USA

L’innovazione tecnologica può essere una minaccia. Lo ha spiegato Coats al Senato, prevedendo per il 2018 un anno in cui il mercato del lavoro statunitense sarà messo a dura prova. L’irrompere dell’Intelligenza Artificiale (AI) nelle aziende, con nuove tecnologie che permettono di imitare e sostituire i processi di cognizione umana, avrà un forte “impatto sull’occupazione e sulla privacy”. Per di più, la corsa allo sviluppo di nuove tecnologie di comunicazione e informazione (ICT) come 5G, l'”internet of things”, i big data, testerà la competitività delle aziende statunitensi: gli assetti normativi dei diversi Paesi sono divergenti, e questo potrebbe creare, avvisa Coats, serie disparità di mercato a danno degli Stati Uniti. Ricerca tecnologica significa inoltre sviluppo di nuovi materiali: è il caso dei nano-materiali, che mettono in crisi le industrie eccessivamente dipendenti da una sola fornitura, ma comportano rischi anche per la salute, perché “spesso vengono sviluppati ben prima che i loro effetti sulla salute e sulla ambiente possano essere misurati”. Un monito infine è rivolto direttamente alla Cina: Coats spiega che, in un mondo già affetto da “continui squilibri commerciali, barriere al commercio, e l’assenza di politiche pro-mercato”, Washington dovrà guardarsi dalle incursioni cyber del governo di Pechino, che “ha acquisito diritti di proprietà nella tecnologia attraverso mezzi cyber”.

RUSSIA, CINA E LE MINACCE DALLO SPAZIO

“Come se non avessimo abbastanza minacce qui sulla Terra, dobbiamo anche guardare nei cieli” ha affermato Coats con amara ironia. Ancora una volta, è da Pechino e Mosca che gli Stati Uniti devono guardarsi. Cina e Russia, spiega il direttore della National Intelligence, perseverano nel loro doppio gioco: da un lato firmano accordi internazionali per vietare la proliferazione di armi spaziali, dall’altro però “continuano a sviluppare armi anti-satelliti (ASAT) come mezzo per ridurre l’efficienza militare degli Stati Uniti e dei loro alleati”. Si tratta, dicono gli addetti ai lavori, di satelliti-missile che si avvicinano ai loro simili per poi esplodere come kamikaze. “Se un conflitto futuro coinvolgerà la Russia o la Cina” ha avvisato Coats, “entrambi i Paesi giustificheranno attacchi contro i satelliti degli Stati Uniti e degli alleati per annullare qualsiasi percepito vantaggio militare statunitense”.

PIÙ DEMOCRAZIE, MA DI PESSIMA QUALITÀ

Negli ultimi dieci anni il numero di democrazie, ha ricordato Coats, è rimasto tutto sommato lo stesso. Peccato che molte restino solo democrazie di facciata, soggette a una lenta e inesorabile transizione verso regimi autoritari che creano instabilità, fame, violenza e crisi economica. Lo conferma un rapporto della Freedom House citato da Coats, secondo cui il 2017 è stato “l’undicesimo anno consecutivo di declino della libertà globale, e più di un quarto dei Paesi soggetti a questo declino sono in Europa”. Il metro di giudizio è ancora una volta lo sharp power: l’uso incondizionato di un’intelligence aggressiva verso l’estero, e oppressiva verso l’interno, con controlli e censure sul mondo mediatico e la società civile. Coats non si fa problemi a fare qualche nome: la Turchia di Erdogan, il Venezuela di Maduro, le Filippine di Rodrigo Duterte. In Paesi come questi, conclude Coats, ” una debole governance, istituzioni nazionali indebolite, l’ineguaglianza economica, e la crescita di attori extra-statali” non fa che aumentare il rischio di “violenza, instabilità e massacri di massa”.

VERSO UN FUTURO ENERGETICO (INSTABILE) SENZA PETROLIO

Il 2018 sarà un anno difficile per i Paesi interamente dipendenti dall’oro nero, anche per colpa degli Stati Uniti. Lo ammette Coats quando spiega come “una crescita attenuata, assieme al forte aumento della produzione nord-americana di petrolio e gas, probabilmente continuerà a spingere a ribasso i prezzi dell’energia globale, danneggiando le economie esporatrici di petrolio”. Chi ne soffrirà di più sarà l’Arabia Saudita: impegnata in un lento processo di transizione energetica, biglietto da visita del principe Mohamed bin Salman, Rihad ancora paga il ribasso del prezzo del petrolio del 2014, con ripercussioni sul deficit che impongono tagli impopolari alle riforme sociali. Il debito pesa come un macigno su un altro enorme esporatore petrolifero, il Venezuela, colpevole di una mala gestio della Compagnia nazionale Petroleos de Venezuela. In conclusione Coats prevede che la crescita globale nel 2018 sarà “di scala più ampia, ma rimarrà debole in diversi Paesi, e l’inflazione sarà sotto il target in molte delle economie più avanzate”.

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