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Spaccare un’Europa molto diversa da cinque anni fa, quando Xi Jinping mise piede per l’ultima volta nel Vecchio continente. Nelle ore in cui il leader cinese è in Francia, alla corte di Emmanuel Macron (la scorsa settimana è stato il cancelliere tedesco Olaf Scholz a recarsi in Cina), aumenta l’attenzione sul senso politico e anche un po’ strategico, della visita in Europa. Che, dopo l’Eliseo, porterà il presidente cinese anche in Serbia e in Ungheria. E pensare che oggi Macron rappresenta il leader occidentale che più si è esposto contro la Russia alleata della Cina e a favore dell’Ucraina.

Forse un segno del cambiamento, come quello ben sottolineato e raccontato ieri su Formiche.net da Philippe Le Corre. Nel 2019 la postura europea nei confronti del Dragone era più accomodante. Il tempo ha mutato le cose e trasformato agli occhi dell’Unione la seconda economia globale in un rivale dalla natura predatoria: l’Ue, in altre parole, vuole vederci chiaro, in primis, sui sussidi ricevuti dai fornitori cinesi di turbine eoliche destinate all’Europa. Ma sono decine gli altri settori coinvolti: chimica, tecnologie, pannelli solari, auto elettriche, sicurezza.

Difficile pensare diversamente, dal momento che i grossi e irrisolti problemi interni dell’economia cinese e le tensioni sul fronte bancario con la Russia, hanno spinto Pechino ad aumentare la propria aggressività all’esterno, con un export forsennato e, soprattutto, fuori dal perimetro della leale concorrenza. L’esempio del mercato delle auto elettriche, già citato, vale su tutti. Con questo stato di cose dovrà necessariamente confrontarsi Xi Jinping, il quale però non rinuncia ai suoi sogni di frammentazione. Andando a bussare alla porta, dopo la Francia (all’Eliseo, presente anche Ursula von der Leyen, verranno celebrati e 60 anni delle relazioni con la Cina), di due Paesi che per natura e storia hanno più volte rischiato la collisione con Bruxelles. Ungheria e Serbia (Belgrado non è nell’Ue in ogni caso anche se ha presentato domanda di adesione nel dicembre 2009 e ha ottenuto lo status di Paese candidato all’adesione nel marzo 2012) hanno innanzitutto come minimo comun denominatore la scarsa propensione alla democrazia.

Stringendo il campo, il governo di Budapest ha da poche settimane dato il via libera alla realizzazione sul suolo magiaro della gigantesca fabbrica di auto elettriche del colosso cinese Byd, primo passo verso l’assalto al mercato occidentale, con veicoli che costano in media il 40% in meno di un’auto non cinese. Tanto basterebbe a giustificare una solida stretta di mano con Viktor Orbàn, cosa che certamente avverrà. Quanto alla Serbia, non è certo un caso che domani ricorra il 25esimo anniversario del bombardamento da parte della Nato dell’ambasciata cinese a Belgrado, nell’ambito della guerra per il Kosovo, nel quale persero la vita tre funzionari del Dragone.

Per questo, come sostiene Michael Sheridan, firmatario di un report pubblicato dal Center for european politicy analysis (Cepa) e autore della nuova biografia di Xi, L’imperatore rosso, il leader cinese punta dritto ai due veri anelli deboli nel Vecchio continente. “Il tour del leader cinese è calibrato per dividere i suoi rivali, per indebolire l’unità dell’Europa sul commercio e per promuovere l’obiettivo della Cina di un nuovo ordine mondiale”, mette subito in chiaro l’esperto. “La Cina è desiderosa di individuare e sfruttare gli anelli più deboli dell’Occidente, consapevole del fatto che il conflitto tra Russia e Ucraina ha fatto sì che la stessa Europa si rendesse conto della sua elevata dipendenza dagli Stati Uniti, ponendo Bruxelles nelle condizioni di mettere a repentaglio la politica europea verso la Cina”.

La verità è insomma che “la visita del leader cinese mira a benedire alcuni dei Paesi illiberali del continente e a indebolire i legami transatlantici. Xi non a caso riceverà un entusiasmo più caloroso quando visiterà Belgrado nel giorno dell’anniversario dell’attacco aereo della Nato che colpì l’ambasciata cinese. Gli Stati Uniti in seguito dissero che si era trattato di un errore e si scusarono. Mentre in Ungheria brinderà con il primo ministro Orbán, le cui opinioni sulla Russia e sull’Ue possono rappresentare una leva per il governo cinese”.

Secondo Sheridan “non è certo un caso che il ministro degli Esteri ungherese, Peter Szijjarto, abbia recentemente dichiarato al Global Times (il giornale del partito in Cina, ndr) di credere che la Cina offre enormi opportunità, anche se molti semplicemente non hanno il coraggio di parlarne apertamente, perché l’aspettativa del mainstream liberale è totalmente diversa”. Proprio quel mainstream liberale che “secondo la grande aspettativa della Cina deve essere sconfitto dai populisti di destra quando gli elettori europei eleggeranno un nuovo parlamento a giugno”.

Populismi, l'arma di Xi. Così la Cina punta agli anelli deboli

​Il tour del leader cinese in Europa nasconde uno scopo. Ovvero aumentare il consenso presso quei Paesi spesso in collisione con Bruxelles e sperare che le elezioni di giugno, come scrive Michael Sheridan, possano dare un colpo a quel mainstream liberale che il Dragone vorrebbe spazzare via dall’Ue

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