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È la fortuna di accademici e politologi, di chi crede di sapere più degli altri “dove va il mondo”. È il tema della “crisi della democrazia”, il titolo di convegni e volumi che riempiono forse di inutile carta (come diceva Vico) la “Repubblica delle lettere”. Ma la democrazia è davvero in crisi, come dicono costoro e come sembra sia diventato luogo comune dire? A me sembra proprio di no: siamo oggi, soprattutto nei paesi occidentali ma non solo, nell’epoca del suo pieno dispiegamento, nel tempo della democrazia trionfante o dell’iperdemocrazia.

Già solo che possa passar per la testa che “uno vale uno”, che siamo o dobbiamo essere tutti uguali, che non ci siano differenze fra i generi, che tutti possono avere il loro quarto d’oro di celebrità e raccontar le loro frottole quotidiane, non è espressione di un iperdemocraricismo diffuso ed esasperato? La democrazia ha vinto. E, nel momento della sua vittoria, capiamo quanta ragione avessero quei preveggenti classici del pensiero, da Montesquieu a Bentham e Tocqueville, che, pur affascinati dallo spirito democratico, ne avevano messo sin dall’origine in evidenza i lati oscuri: il conformismo, il dispotismo della maggioranza, la mediocrità diffusa, la creazione appunto di luoghi comuni non ragionati e argomentati, . Il mercato stesso ha un volto ancipite: da una parte è il più democratico degli indicatori delle preferenze individuali, dall’altro rischia di fotografare preferenze individuali prosaiche, banali. Ma d’altronde, chi può arrogarsi il diritto di imporre, come pure nel tragico Novecento si è fatto, agli altri le proprie preferenze, casomai giudicate buone e giuste? Come si esce da questo paradosso della democrazia? Non in altro modo che immettendo in essa, che è lo spirito e il destino del nostro tempo, elementi di liberalismo.

Le élité del mondo occidentale hanno, tutto sommato, ben adempiuto fino a un certo momento a questo compito. Poi qualcosa è accaduto. Certo, a mio avviso, non è stato l’avvento del “populismo” o delle fake news. Questo lo crede il pensiero rozzo di questi tempi mediocri, cioè appunto democratici: un pensiero veloce e pret à porter, che mostra di essere smart, come si dice, ma è solo pigro. Si tratta, molto più probabilmente, del venire meno di quella “circolazione delle élité”, che ha sclerotizzato il potere un po’ dappertutto in Occidente (un potere diventato addirittura familiare con le dinastie dei Bush e dei Clinton in America). E si tratta poi della crisi del senso storico e della mentalità storicistica. Lo storicismo sa, infatti, che le vere “rivoluzioni”, come la storia ci insegna, si fanno puntellando il presente, non pensando ad impossibili “rottamazioni” o “ripartenze da zero”.Solo guardando al passato e rispettando la tradizione, si può pensare di essere innovativi non solo a parole,
Si può provare tutti insieme, se l’espressione non suonasse retorica , a provare a costruire un dignitoso futuro.

Lingotto, 5 stelle, molestie

Perché la democrazia non è affatto in crisi

È la fortuna di accademici e politologi, di chi crede di sapere più degli altri “dove va il mondo”. È il tema della “crisi della democrazia”, il titolo di convegni e volumi che riempiono forse di inutile carta (come diceva Vico) la “Repubblica delle lettere”. Ma la democrazia è davvero in crisi, come dicono costoro e come sembra sia diventato…

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