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La battaglia di Tallinn è la prima di una lunga guerra. L’Italia ha ottenuto l’aiuto europeo su alcuni punti fondamentali, ma è stata sconfitta sulla possibilità di deviare le navi cariche di migranti anche su porti non italiani, argomento sul quale il ministro dell’Interno, Marco Minniti, garantisce “fermezza” e rimanda alla riunione della prossima settimana con i vertici dell’Agenzia Frontex. Alcuni punti fermi sono comunque emersi dalla riunione informale dei ministri dell’Interno tenuta nella capitale estone. (qui il comunicato finale)

GLI INTERVENTI IN LIBIA

L’unanimità che emerge dal comunicato finale (“common understanding”) è ridotta a una visione “quasi unanime” da Minniti su come operare in Libia, sul codice di condotta per le Ong e su una svolta per i rimpatri. Sul fronte libico saranno ampliati i finanziamenti europei, che dovranno essere definiti in dettaglio, ma che saranno sostenuti anche dagli Stati membri e non solo dalla Commissione, e che riguarderanno un rafforzamento della Guardia costiera libica nel controllo delle acque territoriali, un sostegno alla presenza dell’Oim e dell’Unhcr per evitare che i campi profughi siano gestiti come lager e il controllo delle frontiere meridionali. Mentre era in corso la riunione di Tallinn, il Parlamento europeo ha approvato in via definitiva il programma di 3,3 miliardi di euro che genererà 44 miliardi con effetto-leva in investimenti privati in Africa, cioè per i Paesi da cui origina il fenomeno migratorio. I ministri dell’Interno sono d’accordo anche nel rinforzare i rimpatri volontari assistiti da Libia e Niger verso le aree di provenienza e nell’impegnarsi ulteriormente con Niger e Mali per prevenire i flussi di migranti irregolari. Inoltre, punto estremamente importante è il sollecito a Tunisia, Libia ed Egitto perché definiscano una propria area Sar (ricerca e soccorso) e istituiscano un centro di coordinamento, cioè una sala operativa come quella della Guardia costiera italiana. Il ministro degli Esteri, Angelino Alfano, ha nel frattempo annunciato che l’Italia contribuirà con 32 milioni di euro: 10 milioni al Trust Fund Africa per rinforzare le frontiere meridionali della Libia, 18 milioni all’Oim per i rimpatri volontari assistiti e 3 milioni all’agenzia Onu Unodc per la lotta ai trafficanti. L’obiettivo di tutti è fermare i migranti prima che entrino in Libia.

I LIMITI ALLE ONG E IL NODO RIMPATRI

Com’era previsto, è stato confermato all’Italia il mandato di stilare appena possibile il codice di condotta al quale dovranno attenersi le organizzazioni non governative. Minniti ha spiegato che sarà scritto in accordo con la Commissione Ue e “sentendo le Ong”. Su questo il ministro ha ribadito quanto esposto da ultimo nell’informativa alla Camera il 5 luglio: “Senza pregiudizi, è però necessaria una regolamentazione perché le navi delle Ong si coordinino con quelle di Frontex nell’attività al largo delle coste libiche e con le autorità giudiziarie nell’ambito delle operazioni contro gli scafisti”. I rimpatri, invece, sono da sempre un problema enorme perché riguardano la gran parte dei migranti arrivati, visto che la maggioranza non ha diritto e quindi non ottiene l’asilo né altro tipo di protezione umanitaria. Su questo sarà avviata una politica europea dei rimpatri anche con pressioni su quei Paesi che li rifiutano, che avranno in questo caso restrizioni sui visti da parte dei Paesi europei. Forse non si è entrati in certi dettagli, ma è evidente che anche per i rimpatri dovranno essere stanziati fondi e mezzi perché rimandare indietro decine di migliaia di persone è molto complicato e costoso.

IL NO EUROPEI SUI PORTI

Olanda e Belgio sono d’accordo con Germania, Francia e Spagna nel negare i loro porti alle navi che oggi sono dirette solo verso l’Italia. Un conto è la solidarietà che si tradurrà nelle altre iniziative, un altro conto è farsi carico nel frattempo di qualche migliaio di migranti. Minniti ha smussato il no rilevando che non era un tema in discussione a Tallinn e che la prossima settimana, con Frontex, si discuterà “anche con la necessaria fermezza”. Pur non essendo in agenda, o forse proprio per questo, nel comunicato finale si cita solo l’appuntamento della prossima settimana con l’Agenzia che controlla le frontiere europee per “discutere dell’operazione Triton”. Il commissario europeo all’immigrazione, Dimitris Avramopoulos, ha dapprima seccamente negato la possibilità di modificare il mandato di Triton, come chiede l’Italia, e successivamente ha smorzato i toni dicendo diplomaticamente che “occorre più lavoro nell’Ue per condividere il peso e assicurare che l’Italia non sia lasciata sola”. Il governo italiano sicuramente userà fermezza, ma la situazione è chiara: mentre l’avvio delle iniziative condivise a Tallinn avrà inevitabili tempi tecnici, le decine di migliaia di migranti in arrivo nei prossimi mesi toccheranno solo il suolo italiano. Nel documento finale, pur con “il pieno supporto all’Italia”, si fa anche riferimento alla necessità di identificare, registrate e prendere le impronte digitali di tutti i migranti, oltre a una “veloce identificazione” di chi ha diritto all’asilo. Non solo non vogliono le navi, ma nel felpato linguaggio diplomatico insistono nel pretendere dall’Italia ciò che già si fa con grande sforzo. In base alla conclusione del vertice con Frontex, la fermezza potrebbe (o dovrebbe) tradursi anche in azioni unilaterali: se i porti scoppiassero e qualche nave venisse respinta…

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