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L’attesa è lunga. Il salone dell’Hilton si riempie lentamente di centinaia di imam e non solo. Il segretario generale della Lega Musulmana Mondiale, il saudita Mohammed Bin Abdul Karim al Issa (nella foto), appena giunto da New York dove ha presieduto un simposio sulla cultura islamica e quella americana, non è ancora arrivato nella grande hall dell’Hilton. È l’occasione per incontri, colloqui, convenevoli. È in questo spazio che un autorevole imam mi ha detto “papa Francesco  è sempre più un riferimento, per molti. Nel senso che molti mi dicono ‘hai sentito? l’ha detto anche il papa’, perché lui ormai è percepito come una garanzia, un’autorità morale, che garantendo spazi consente di esprimersi, e di aprirsi.Di sentirsi accettati, e quindi di accettare”. Sono parole che mi hanno colpito, come la scelta della lingua italiana, quando è giunto il momento dei saluti, da parte dell’imam di Roma e del segretario del centro culturale islamico di Roma. Non certo irrilevanti i contenuti di questi saluti, a cominciare da quello del rabbino Joseph Levi, presente sul palco insieme al segretario del Pontificio Consiglio per il Dialogo Inter-Religioso, Miguel Angel Ayuso. Nel suo indirizzo di saluto il rabbino ha ricordato la collaborazione tra islam ed ebraismo, parlando del loro ruolo nel connettere l’Europa con il pensiero antico. Parole incisive e applaudite, quelle del rabbino, come quelle di monsignor Ayuso, che si è concentrato sulle sfide del presente. Quindi ha preso la parola al Issa.

“È stato Dio a volerci diversi, molteplici” quindi è Dio che ci  ha indicato che nel mondo plurale la via è quella della comprensione e dell’armonia. È stato questo il punto di partenza di un intervento puntato a indicare la centralità della “tolleranza nell’Islam”. Termine problematico, per il collegamento con l’idea del tollerare, che può non apparire connessa con l’armonia dei diversi. E infatti al Issa ha voluto spiegare che questa “tolleranza” è altro, forse quello che noi oggi definiamo “comprensione”. Comprendere non vuol dire necessariamente fare proprio, ma capire, perché capirsi e accettarsi è indispensabile per convivere. Un riferimento concettuale, probabilmente, alla cultura del vivere insieme.

Il primo punto di scontro con “l’islam deviato” al Issa lo ha presentato nel rifiuto da parte di questo pensiero del comando coranico in base al quale “non può esserci costrizione nella fede”. E non può esserci, ha ripetuto, perché Dio ci ha voluto diversi. Solo gli stupidi non lo accettano e non lo capiscono.

Altra parola chiave che ha connesso alla radice “tollerante” dell’islam è stata la parola “perdono”. Siamo tutti peccatori, Dio perdona e ci chiede di perdonare, perché il perdono elimina l’odio, e perché perdonando si viene perdonati. E ha ricordato che il Corano dice di offrire il cibo al povero, al bambino e al prigioniero, che a quel tempo era sinonimo di guerriero, quindi di “nemico”. È partito da qui un lungo ragionamento che è apparso il più interessante, o nuovo, giunto a sottolineare come tutto questo sia anche un invito a voltare pagina, a non eternizzare il passato, ma a superarlo, perché gli errori (o le incomprensioni)  di ieri non  possono ricadere sull’oggi e condizionare il domani.

È arrivata così la conclusione: se tutto questo è chiaro e chiaramente riscontrabile da chi si accosti all’islam, allora non possiamo non chiederci come mai non si trovi nella cultura di certi ambienti, in quanto certi ambienti pensano e diffondo. È questo che dobbiamo riprendere e porre al centro di una sfida culturale al terrorismo. “Dobbiamo radicare questi pilastri nei cuori, nelle menti”, perché lo scontro con i terroristi, ha detto, si vince sul piano culturale.

“Il nome della pace è sviluppo”, parole che non potevano non tornare in mente al termine dell’incontro.

Islam, i terroristi e il perdono. Parla lo sceicco Karim al Issa

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