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Ci saranno solo sei persone nella stanza in cui Donald Trump incontrerà alle 15:45 di oggi, venerdì 7 luglio, ad Amburgo (durante il G20) il presidente russo Vladimir Putin. Oltre ai due capi di stato, i rispettivi ministri degli Esteri, Rex Tillerson e Sergei Lavrov, e due interpreti. Alla fine è andata così: l’incontro, a lungo preparato dalla Casa Bianca, sarà molto intimo, ma Trump si porta dietro uno dei suoi uomini più forti nelle relazioni con la Russia; Tillerson ha avuto rapporti e relazioni dirette con il governo di Mosca quando guidava Exxon Mobil, ha ottenuto un importante riconoscimento al merito dal Cremlino, è un elemento di bilanciamento e contatto, abituato a questo genere di faccia a faccia (e dovrebbe evitare di cadere nei tranelli psicologici che hanno probabilmente portato Trump, nell’unico incontro ufficiale con i russi, a spifferare un’impalcatura segreta creata dall’intelligence israeliana, e giordana, per infiltrarsi nell’IS).

INCONTRARE PUTIN

Trump sarà il quarto diverso presidente statunitense che Putin incontrerà da quando è in carica (il confronto rende da sé sulla sincerità della democrazia in Russia). Il primo, nel giugno del 2000, fu Bill Clinton, a Mosca, “non siamo destinati a essere avversari, ma non è garantito che saremo alleati” il commento dell’americano sulla cena avuta col russo, insediatosi meno di un mese prima; a Lubiana, sempre a giugno ma del 2001, toccò a George W. Bush, “l’ho guardato negli occhi, ho potuto vedere la sua anima, è un uomo molto diretto” disse l’americano (sottolineando una caratteristica del russo su cui molti concordano), ma Bush arrivava in Russia dopo un viaggio europeo in cui esortò gli stati baltici a entrare nella Nato; infine Barack Obama, luglio 2009, Nova Ogoryovo (casa del presidente russo), erano i tempi del mondo monopolare obamiano, e il presidente Usa disse che con Putin c’era spazio per stringere i rapporti “in modo molto più forte” (era la teorizzazione del “reset”, poi Ucraina, Siria, hacking presidenziali, misure attive e destabilizzazione, hanno lasciato parlare la realtà e creato la distanza tra Russia e Stati Uniti).

UN INCONTRO IMPORTANTE

L’incontro è ovviamente cruciale, e il tentativo del Consigliere per la Sicurezza nazionale, HR McMaster, di abbassarlo al rango di tutti gli altri vertici di questi giorni è abbastanza inutile. Trump s’è contraddistinto durante la campagna elettorale anche per aver annunciato la volontà di riavvicinare Washington a Mosca, in contrasto con gli ultimi anni dell’amministrazione Obama che aveva spinto per colpire la Russia con le sanzioni dopo la crisi ucraina (sfogo di una distanza già creata). Però, gli Stati Uniti di Trump, di fatto, non si sono per niente avvicinati alla Russia in questi primi mesi, continuando sostanzialmente la linea seguita dall’amministrazione precedente (per esempio: le sanzioni sono ancora lì, e il Senato le ha rinnovate con una clausola che impedisce alla Casa Bianca di rimuoverle). E queste è una realtà oggettiva che sfugge anche a causa del grande elefante nella stanza durante l’incontro odierno: il Russiagate, l’inchiesta sulle ingerenze russe durante le presidenziali di novembre scorso e sulle eventuali collusioni con il comitato di Trump. I due capi di stato parleranno anche di questo? Non è chiaro: la Casa Bianca ha detto che non c’è nessuna agenda ufficiale programmata, parleranno per circa un’ora; in certe occasioni, più che sui contenuti ufficiali della discussione, l’interesse sta molto nell’atteggiamento del corpo dei due (si ricorderà una famosa foto, che sottolineava la distanza che già nel 2013 si era creata tra Obama e Putin).

L’ANTIPASTO

L’incontro ha avuto un antipasto appetitoso: Trump, in visita in Polonia, è passato moderatamente sull’ingerenza russa alle presidenziali, lasciando aperto un “potrebbero essere stati altri”, ma poi dal palco di Varsavia ha invitato severamente la Russia a mollare l’appoggio ai “regimi ostili” di Siria e Iran, a facilitare la pace in Ucraina, e ha sottolineato che gli Stati Uniti sono perfettamente allineati con l’articolo 5 del trattato Nato – quello della difesa collettiva – che è un’affermazione che pesa se pronunciata nella capitale di un paese che sente le pressioni russe e che ospita al suo interno uno schieramento militare (anche americano) che fa simbolo per il contenimento sul fronte orientale dell’Alleanza. Putin aveva anticipato scrivendo un op-ed sul tedesco Handelsblatt in cui sottolineava la vicinanza tra Germania e Russia, si complimentava con la Cancelleria per guidare processi globali, si allineava sulla questione dei cambiamenti climatici: tutte questioni odiose per Trump.

L’ATTUALITÀ

Argomenti di attualità sicuramente sul tavolo: la Siria, per esempio. Da qualche giorni si parla della possibilità che Washington proponga a Mosca una via definitiva per la risoluzione del conflitto, lasciando il regime al potere e creando zone di de-conflicting che truppe russe dovrebbero pattugliare; ma questo tentativo di cooperazione arriva in un momento di particolare tensione, con i due paesi che ancora si trovano su fronti opposti (nulla è cambiato dai tempi di Obama, anzi). Altra questione, la Corea del Nord: la Russia ha bloccato due giorni fa la richiesta americana di alzare nuove sanzioni dopo che Pyongyang ha testato un missile teoricamente in grado di raggiungere l’Alaska, di mezzo c’è la Cina, ma Trump potrebbe chiedere a Putin di affrontare insieme la situazione. Il presidente cinese due giorni fa era a Mosca però: un tema è l’inizio delle esportazioni di Gazprom in Cina, e il mercato energetico è uno degli argomenti di fondo tra Russia e Stati Uniti, con gli ultimi diventati ormai attori di primo piano nel gas e nel petrolio; anche per questo c’è Tillerson.

israele, VLADIMIR PUTIN

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