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Spero che a nessuna Procura della Repubblica, né a Trani, dove hanno già fatto cose del genere, né altrove venga ora la tentazione di aprire un’inchiesta a carico dell’agenzia americana Fitch Ratings. Che ha appena tolto quell’unica + accanto alle tre B assegnate all’Italia, facendoci quindi scendere di un gradino nella valutazione internazionale di affidabilità. E ciò a causa del solito elevatissimo debito pubblico e del rischio politico. Di cui purtroppo non basta ripetere l’aggettivo “solito” perché esso aumenta ancor più del debito ogni volta che a qualcuno di Fitch o d’altra agenzia venga la malaugurata tentazione di leggere o di farsi tradurre le cronache politiche, appunto, dei giornali italiani.

C’è obiettivamente da mettersi le mani nei capelli, per chi li ha, o grattarsi a sangue la testa, per chi è calvo, di fronte allo spettacolo di una miriade ormai di partiti divisi fra di loro e al loro interno. Nessuno dei quali ha la minima possibilità di vincere le elezioni – ma di vincerle davvero – con le due leggi in vigore per il rinnovo della Camera e del Senato. Due leggi delle quali il Parlamento nega giustamente la paternità dopo i tagli apportati a entrambe dalla Corte Costituzionale lasciandone in vigore, immediatamente applicabile, ciò che ne è rimasto. Un Parlamento che rivendica legittimamente, spinto un giorno sì e l’altro pure dal presidente della Repubblica, il diritto di intervenire, ma non riesce a farlo proprio per le divisioni che lo attraversano.

In questa situazione di per sé già caotica e allarmante, visto che siamo ormai a meno di un anno dalla scadenza ordinaria della legislatura, per cui in ogni caso si dovrà pur votare, a meno che non si prolunghi il mandato delle Camere elette nel 2013 dichiarando guerra a qualcuno, magari alla Repubblica di San Marino, per ricorrere con apposita legge alla proroga prevista dal secondo e ultimo comma dell’articolo 60 della Costituzione; in questa situazione, dicevo, già così caotica e allarmante, oltre alle verifiche costituite dalle elezioni amministrative, il cui prossimo turno, a giugno, riguarderà circa dieci milioni di elettori, da nord a sud, ci permettiamo il lusso, chiamiamolo così, anche di una lunghissima campagna elettorale di livello nazionale.

Questa campagna elettorale nazionale, che condiziona tutto e tutti, dal governo ai partiti, e alle stesse istituzioni, è cominciata all’indomani della bocciatura referendaria della riforma costituzionale, il 5 dicembre scorso. Allora il presidente del Consiglio e insieme segretario del maggiore partito italiano, valutati i risultati del voto del 4 dicembre, dichiarò senza mezzi termini di considerare politicamente esaurita la legislatura e propose al suo stesso partito e naturalmente al capo dello Stato, unico titolare del potere di sciogliere le Camere, le elezioni anticipate. Ma fu trattato da qualcuno come un pazzo, da qualche altro come un provocatore, da qualche altro ancora come un terrorista, per quanto disarmato, o armato solo di giocattoli. E non se ne fece nulla un po’ col pretesto di quelle due leggi elettorali troppo diverse tra loro e bisognose quanto meno di un’armonizzazione, per ripetere la parola magica usata dal capo dello Stato, e un po’ per una questione che non saprei dire se più morale o igienica sollevata con vigore dal presidente emerito, cioè ex, della Repubblica Giorgio Napolitano. Che non considera “normale” un Paese in cui si ricorra allo scioglimento anticipato delle Camere, pur avendolo lui stesso fatto disposto una volta, al pari dei suoi predecessori, qualcuno dei quali anche più volte, come la buonanima di Oscar Luigi Scalfaro.

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In questo contesto politico e istituzionale, oltre a quella o quel + sottrattoci da Fitch, non deve sorprendere neppure la notizia che ho letto da qualche parte di una buona metà del proprio tempo dedicata per telefono dal presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, in missione tra gli Stati Uniti e il Canada, alla questione sollevata dall’amico magistrato Raffaele Cantone. Che si è visto sottratto da un decreto delegato del governo il diritto di sorveglianza preventiva sulle gare d’appalto ed ha avvertito manine e manone di quanti non gradiscono l’Autorità Anticorruzione da lui presieduta con grande visibilità.

Gli uffici dove è avvenuto il pasticcio sono stati individuati nel Dipartimento degli affari legali di Palazzo Chigi, dove l’aggiornamento del codice degli appalti è arrivato in un modo ed è uscito in un altro, il 13 aprile, per essere esaminato ed approvato dal Consiglio dei Ministri.

A indurre in errore i funzionari del Dipartimento, senza che se ne accorgesse peraltro la sottosegretaria alla Presidenza del Consiglio Maria Elena Boschi, che dovrebbe sovrintendere al lavoro del direttore Roberto Cerreto, sarebbe stato un parere del Consiglio di Stato. Secondo il quale Cantone dovrebbe limitarsi ad investire l’autorità giudiziaria di eventuali irregolarità scoperte nell’esame preventivo delle gare di appalto.

Il Consiglio di Stato è fatto naturalmente di magistrati, sia pure amministrativi. Magistrati sono anche quelli delle Procure cui Cantone dovrebbe limitarsi, secondo il nuovo decreto, a segnalare le sue scoperte. Magistrato, ma in aspettativa, è lo stesso Cantone, la cui Autorità però è stata recentemente definita inutile da un altro magistrato che era in quel momento anche presidente dell’associazione dei suoi colleghi: Piercamillo Davigo. Troppi magistrati, forse. E, come dice un vecchio proverbio inglese, troppi galli a cantare non fa mai giorno.

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Ma la sorpresa più grande, di questo pasticcio di cui si è lamentato in più sedi Cantone e cui Gentiloni prima ancora di rientrare in Italia si è preoccupato dall’estero di disporre un rapido rimedio, viene dalla lettura della norma soppressa dal nuovo codice degli appalti.

Ciò che risulta tolto a Raffaele Cantone e all’Autorità che presiede è il diritto di rivolgere alla stazione appaltante incorsa in errore o violazione di legge una “raccomandazione vincolante”.

Adesso, con tutta la buona volontà di questo mondo, e con tutta la stima e la simpatia che merita il dottor Cantone, riesce francamente difficile capire come possa o debba risultare “vincolante” una “raccomandazione”.

Dizionario della lingua italiana alla mano, raccomandazione significa “esortazione o consiglio improntati a motivi affettivi, professionali o di autorità, reale o presunta”, o ancora “segnalazione”. Sono tutte parole o concetti alquanto diversi dalla perentorietà di un aggettivo come “vincolante”. Che, sempre dizionario della lingua italiana alla mano, comporta o “costituisce un obbligo morale o giuridico”.

A questo punto non so francamente se la cantonata -è proprio il caso di chiamarla così- sia più il contenuto della norma soppressa o la soppressione della norma.

Graziano Delrio e Raffaele Cantone

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