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L’esito del Referendum Costituzionale è stato uno spartiacque per il Partito Democratico. Gli effetti che la vittoria del no ha prodotto erano in parte prevedibili. Non per la vittoria del no di per sé, ma per tutto quello che questo Referendum era diventato: non più una sana discussione sulla Carta dei diritti, dei doveri, dei principi che regolano la vita della nostra Repubblica, ma un plebiscito su un leader politico e sul governo da lui guidato. Un errore fatale. Lo si era detto. Si era consigliato di non fare quel passo in avanti verso il baratro. Miopia o cosa? Non è più importante.

I fatti e le conseguenze

Matteo Renzi si è dimesso da Presidente del Consiglio lo 05.12.2016, è salito al Colle e ha rimesso il mandato nelle mani del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Spetta ora a lui decidere se sciogliere le camere e tornare alle urne, presumibilmente a primavera, oppure provare a creare un governo di fine legislatura, che sbrighi le faccende ordinarie e vari una legge elettorale nuova che impedisca il pasticcio che ci si presenta davanti, con due sistemi assai diversi per Camera dei Deputati e Senato della Repubblica. Il problema torna ad essere quello della stabilità.

La stabilità

Un concetto usato per giustificare questa o quella scelta politica poco popolare. Si fa in nome della stabilità, che è descritta come un bene superiore. Ma cosa è la stabilità? Un mero risultato matematico nella ripartizione dei seggi in Parlamento? O è piuttosto un modo di lavorare e concepire le cose? Non c’è stabilità senza una politica sana e competente, senza rappresentanti seri e onesti, senza un legame forte, basato su fiducia e reciprocità, tra corpo elettorale e governanti. Questa è la stabilità, per me, e niente altro. La stabilità che ho in mente è quella basata sulla riscoperta del primato della Politica su tutto il resto: sulla finanza e sul mercato de-regolamentato, sull’opportunismo, sulla logica del breve periodo e sugli slogan in twitter. Sì, la Politica come soluzione ai problemi che sono stati creati da una politica con la “p” minuscola. Ma come deve essere questa Politica?

Deve essere:

Inclusiva perché si apre all’esterno ed è pronta ad ascoltare, coinvolgere e dimostrarsi sensibile alle paure, ai disagi, ai bisogni, ai sogni delle persone. Che non ha paura del confronto, anche aspro e violento, che concepisce la pluralità come un dato positivo, poiché, come ha scritto Hannah Arendt, la pluralità è la condizione umana. Tutto ciò che opera per ridurla e annichilirla è contro questa natura.

Umile perché non si arroga il diritto di avere la verità in mano e rifiuta il dogmatismo. Perché non tratta l’avversario o chi dissente con violenta supponenza, ma è consapevole dell’enorme potere che ha e dunque si fa piccola, affinché sia compresa da tutte e da tutti, senza per questo perdersi nelle logiche economicistiche del capitalizzare un consenso qui ed ora, a prescindere dalle conseguenze di certe azioni.

Coraggiosa perché non smette di immaginare un mondo diverso e un futuro migliore. Perché sfida l’ovvio e lo fa basandosi sulla consapevolezza che a sostenerla c’è una base di persone che hanno ritrovato fiducia e che sperano in un impulso positivo al cambiamento.

Riflessiva perché non sempre le scelte che vengono prese sono quelle giuste, e ha quindi la facoltà di tornare sui suoi passi e di correggersi senza per questo abdicare al suo ruolo di guida.

Competente perché la complessità del mondo richiede gli strumenti cognitivi, teorici e pratici necessari a non lasciarsi travolgere o schiacciare dalle furbizie di forze che esistono solo per se stesse.

Onesta perché se non è incorruttibile, refrattaria ai mercimoni e ai compromessi sempre al ribasso, non può sperare di essere creduta e sostenuta. Questo è un prerequisito.

Sociale perché è il collante della società e se non è consapevole il suo agire si discosta dalla sua natura e si trasforma in deterrente che invece di tenere insieme distrugge. Come fanno le forze populiste che dilagano da qualche anno a questa parte in Europa e nel mondo.

Umana perché rimette al centro gli interessi, i bisogni e le speranze delle persone, così come i diritti e la sua dignità.

Responsabile perché prende su di sé il peso del tenere insieme quello che altrimenti si dividerebbe e si riconosce l’onere di darsi senza risparmio per migliorare questo mondo.

Rappresentativa perché non si illuda di pensarsi come corpo astratto e separato dal mondo in cui opera. La Politica è lo stare nel mondo, tra gli uomini e per gli uomini.

La Politica che ho in mente è altro ancora. Ma questi sono gli aspetti per me fondamentali e costitutivi. E chi può realizzare una Politica di questa natura? Chi può farsi carico di una tale sfida? Solo una forza ampia di centro sinistra di cui, in Italia, il Partito Democratico deve tornare ad essere il riferimento principale, seppur non l’unico soggetto in campo. Il Pd ha nel suo manifesto dei valori tutti i principi elencati, abbandonati in modo distratto e ignorati purtroppo da molte e molti. Temo addietro dissi che l’iscrizione a un partito doveva essere dettata dalla condivisione di valori e visioni, e oggi più che mai lo credo e penso che proprio questo sia mancato negli ultimi anni.

Il Pd ha perso credibilità. Lo stesso è accaduto ad altre forze politiche appartenenti al mondo della socialdemocrazia europea. C’è un perché, non è un caso. Si tratta dello smarrimento di questi valori e di queste visioni. La bussola puntava sempre nella direzione giusta, ma le dirigenze hanno seguito percorsi diversi e si sono perse facendoci perdere. Le responsabilità sono visibili e chiare: la colpa non è all’esterno, ma al nostro interno.

Il Pd di domani è quello del riscatto, del coraggio e della riscoperta delle proprie radici e delle proprie potenzialità. Basta con le ambiguità, con le scelte che confondono le nostre elettrici ed i nostri elettori, basta con la sciocca illusione che inseguendo il centro si possano vincere consensi in modo trasversale. L’originale è meglio della copia, sempre.

Da questo punto di vista servono radicalità e partecipazione. Un’alternativa chiara e ben definita che consenta alle persone di scegliere in modo consapevole e sentito. Solo così, penso, il PD potrà tornare motore di cambiamento, progresso sociale e politico, collante per un centro sinistra plurale, ricco di visioni e idee, rivoluzionario.

Una riflessione, una speranza, uno scopo.

Il Pd di domani

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