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Ma quale governo fotocopia, ma quale governo di scopo, ma quale governo per fare solo la legge elettorale. Sergio Mattarella ha conferito a Paolo Gentiloni un mandato pieno per formare un gabinetto che ha molti scopi, alcuni dei quali da far tremare i polsi: il salvataggio del Montepaschi, il confronto con l’Unione europea sugli immigrati, la legge di bilancio che andrà rivista, bisognerà completare le riforme lasciate incompiute da Renzi (se non le vuol mollare), aggiustare quelle zoppe (la riforma delle banche popolari o la pubblica amministrazione), e poi c’è il terremoto sul quale ha insistito in particolare il presidente della Repubblica. Sono solo gli appuntamenti più immediati, dei prossimi giorni tanto per essere chiari, non delle prossime settimane. Senza contare le trattative complesse per la nuova legge elettorale che lo stesso Mattarella ha indicato come prerequisito per arrivare al voto. Un’agenda fitta, non da gabinetti che durino lo spazio di un mattino.

Naturalmente l’incarico è stato appena affidato dal presidente della Repubblica e non sappiamo se Gentiloni ce la farà a formare il governo (anche se sembra quasi scontato che il suo tentativo vada in porto) e quale governo sarà, ma si può già azzardare che sarà diverso dal governo Renzi, anche se molti ministri resteranno al loro posto. Siccome al di là delle linee politiche conta la persona (e proprio la parabola renziana ne è stata l’ultima conferma), la prima differenza è di stile.

Niente durezze, niente polemiche per amor della polemica, niente tweet al veleno, niente gufi. Gentiloni è un uomo del dialogo, lo ha dimostrato nel suo percorso precedente dai verdi alla Margherita al Pd. Le sue prime mosse dovranno essere all’insegna del confronto con le correnti del Pd (inevitabile) e con le altre forze politiche a cominciare da Silvio Berlusconi che ha annunciato una sorta di sfiducia costruttiva, sulla legge elettorale e non solo. Non dimentichiamo che Gentiloni è stato ministro delle comunicazioni nel governo Prodi e in quanto tale ha tenuto i rapporti con Mediaset (pur nella differenza delle posizioni, il rapporto con Fedele Confalonieri è stato sempre più che corretto, si può dire di stima vera e propria). Dunque, si potrebbe immaginare, come fa Cicchitto, una doppia maggioranza, quella di governo e quella per fare la legge elettorale? Gentiloni ha tenuto a precisare subito che la sua “fotocopia” non è voluta, ma obbligata dalla “indisponibilità delle forse d’opposizione”. Parole pesate e pesanti che debbono essere piaciute al Quirinale. Tra Mattarella e Gentiloni sembra di capire che c’è piena sintonia.

Il Movimento 5 Stelle si agita e s’arrabatta, ma la sua velleità di appropriarsi del No e passare immediatamente all’incasso, è stata frustrata. Una parte dei pentastellati vuole aizzare le piazze (Di Battista), un’altra parte suggerisce di aspettare (Di Maio), qualcuno vorrebbe lasciare i banchi del Parlamento per una sorta di Aventino, altri s’interrogano se non sarebbe più vantaggioso andare a vedere, se non proprio trattare, cominciando proprio dalla legge elettorale. Del resto, se i sondaggi sulle preferenze di voto pubblicati dal Corriere della Sera sono accurati, il referendum non ha spostato gli equilibri politici: il M5S è in testa di poco, il Pd segue ed entrambi sono attorno al 30%. Tutti gli altri stanno dietro, a molta distanza. Se il centro-destra si ricomponesse con tutte le sue frange da Forza Italia a Fratelli d’Italia passando per la Lega, sarebbe comunque lontano. Ed è proprio partendo da questa mappa che i partiti vanno a discutere come votare e quando.

Già si tengono scommesse su quanto durerà il nuovo governo. Sembra quasi scontato che arrivi almeno all’estate: sarà Gentiloni a gestire il G7 di Taormina il 26 e 27 maggio. Poi dipende dal negoziato sul sistema elettorale. E dipende, non lo dimentichiamo, anche da che cosa accadrà nel Partito Democratico dove Renzi prepara la sua rivincita. Sembra quasi una mossa avventata, un mero gesto di orgoglio. Ma fino ad oggi il partito, per quanto diviso, è dalla sua parte. Solo una piccola frangia di elettori del Pd ha votato No come hanno dimostrato le analisi sui flussi dei voti (quelli veri, in quantità). Il seguito di D’Alema e della sinistra è limitato, nonostante la grande esposizione mediatica. Non sappiamo chi sfiderà Renzi alle primarie, ma se fosse Pierluigi Bersani, allora Matteo vincerebbe a mani basse. I media non hanno memoria, la politica al contrario ha la memoria lunga e ricorda che tutti pasticci attuali, compresi i successi dei grillini, dipendono dall’esito dalle elezioni del 2013, la “non vittoria” di Bersani (prese il 29,55%, Berlusconi il 29,18 e Grillo il 25,5) e la mancata maggioranza al Senato.

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