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Il referendum del 4 dicembre, quale che ne sia l’esito, produrrà effetti significativi nel quadro politico italiano senza risparmiare i governi di regioni e comuni. Nulla è scontato ma sembra prevalere, in caso di vittoria del No, la tendenza a evitare immediate elezioni politiche per non correre il rischio di un successo dei grillini, che scompiglierebbe il gioco delle forze politiche tradizionali.

Detto ciò non sono per nulla da escludere cambiamenti importanti a livello locale che spesso anticipano nuovi equilibri nazionali . Esplodono già le contraddizioni e i contrasti interni al centrodestra e al centrosinistra. Il fu Popolo della Libertà si è ormai liquefatto anche per effetto della rivendicazione di Matteo Salvini ad assumerne la guida con una connotazione lepenista. Che appare ai più una scelta minoritaria priva di grandi prospettive. Berlusconi, al momento occupato principalmente a succedere a sé stesso, avrebbe d’altra parte interesse a rientrare in gioco come al tempo del Nazareno. Certo – in caso di vittoria del Sì – sarebbe inutile accorrere in soccorso del vincitore, ma se fosse bocciata la riforma costituzionale garantire a Renzi una tregua, magari per fronteggiare una emergenza indotta dall’impennarsi del ben noto spread, potrebbe portargli interessanti dividendi politici.

Ma il leader indiscusso di Forza Italia sembra voler tenere i piedi in due staffe riconoscendo a Salvini lo status di alleato permanente di una coalizione destinata perdere fatalmente il voto dei moderati. Le ferite aperte dalla campagna referendaria rendono impossibile pensare ad un governo di unità nazionale, ma non è improbabile che si assista alla nascita di nuovi equilibri nelle amministrazioni locali che vedono protagoniste le aree politiche di centrodestra e di centrosinistra a vocazione di governo.

La vicenda del comune di Padova è un antipasto robusto di questo scenario e non dobbiamo dimenticare che ormai va delineandosi il posizionamento delle candidature per il rinnovo di alcuni consigli regionali tra cui la stessa Lombardia. E’ evidente che in questo quadro la scelta strategica di Salvini metta fortemente a rischio la posizione di Maroni (e in prospettiva quella di Toti nel qual caso è più corretto parlare di tentato suicidio politico) non lasciando del tutto tranquillo neppure il più solido Zaia. Qualche avvisaglia viene anche da Venezia dove l‘astuto sindaco di centrodestra Brugnaro, nel corso di un pubblico confronto con Beppe Sala sul referendum, si è portato avanti annunciando pubblicamente il suo appoggio alla causa del Sì (i maligni sottolineano che come Sindaco potrebbe diventare membro del nuovo Senato), attirandosi le ire di Salvini. E non è un caso che in laguna aleggi l’ipotesi di un rimpasto di maggioranza (e di giunta) con l’uscita della Lega e l’ingresso di esponenti renziani.

Ma il discorso vale, seppur in termini diversi, per una città saldamente in mano al Pd come Milano. Nella maggioranza e nella giunta oggi si confrontano in punta di fioretto due schieramenti: quello di chi, in un’ottica riformista, guarda ai risultati concreti che una qualunque amministrazione deve ottenere, e quello di chi, invece, vorrebbe mantenere un profilo ideologico-pedagogico dedito all’affermazione di una identità di sinistra. Ad esempio emergono alcune serie contraddizioni se si confrontano le posizioni del sindaco e di alcuni assessori sull’utilizzo esteso delle telecamere o sull’impiego dell’esercito per combattere la criminalità e garantire la sicurezza.

Da una parte si vogliono diffondere questi strumenti in città adottando le tecnologie più avanzate per una svolta digitale nella sicurezza e si chiede di utilizzare anche l’esercito, come hanno fatto lo stesso Sala e l’assessora Rozza. Dall’altra parte invece molti – tra cui la vicesindaca Scavuzzo – sostengono che la presenza dei militari produca una sensazione di “deriva totalitaria”: in questo senso si giudica diseducativo utilizzare le telecamere negli asili nido e nelle scuole, perché verrebbe meno il legame di fiducia con gli educatori.

La maggioranza di Sala, sia pur caratterizzata da una gestione day by day, è oggi sufficientemente solida per non incorrere in gravi incidenti di percorso. Anzi, il comune di Milano è oggi l’istituzione più forte in Lombardia giacché il governo regionale vivacchia stretto tra l’attivismo di Matteo Salvini che vuol dare alla Lega una nuova identità nazional-populista antieuropea e una fastidiosa vicenda giudiziaria ancora aperta che provoca qualche pensiero al governatore Maroni. D’altro canto anche le vicende giudiziarie di Expo – che sembravano destinate all’archiviazione – sono tornate sotto i riflettori per l’intervento della procura generale che ha tolto la pratica ai pm.

Dopo il referendum qualche carta potrebbe essere rimescolata aprendo delicate questioni di equilibrio politico anche nel Pd. Questa è la ragione di fondo per cui il sindaco di Milano ha tutto l’interesse a tessere una solida rete di rapporti costruttivi con quella parte di opposizione disponibile al confronto, che potrà essere molto utile nell’immediato futuro.

Ecco come a Milano la giunta Sala si divide un po' su esercito e sicurezza

Il referendum del 4 dicembre, quale che ne sia l’esito, produrrà effetti significativi nel quadro politico italiano senza risparmiare i governi di regioni e comuni. Nulla è scontato ma sembra prevalere, in caso di vittoria del No, la tendenza a evitare immediate elezioni politiche per non correre il rischio di un successo dei grillini, che scompiglierebbe il gioco delle forze…

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