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Domenica mattina un camion è piombato sulla folla della Armon Hanatziv Promenade di Gerusalemme, zona meridionale della città vecchia (non lontano dalla sede delle Nazioni Unite). Il bilancio è di quattro soldati e un’altra decina di feriti. Dalle ricostruzioni, rese possibili anche dalle riprese di un telecamera di sicurezza, il camion avrebbe accelerato per centrare il gruppo di persone, che erano appena scese da un autobus. Con ogni probabilità si è trattato di un atto terroristico, anche perché dal video si osserva che il camion appena dopo il primo impatto ha cercato di fare inversione ed è passato a retromarcia sopra i corpi delle persone a terra. Successivamente il guidatore è stato ucciso dagli altri militari. L’uomo si chiama Fadi al-Qanbar, palestinese di 28 anni con patente israeliana, che pare abbia rubato l’autocarro poco prima di compiere l’attacco.

UNA DINAMICA NOTA

La dinamica ricorda indubbiamente le azioni viste sia ai mercatini di Natale a Berlino sia quest’estate a Nizza: veicoli lanciati a tutta velocità contro la folla inerme, usando i camion come armi secondo un invito fatto esplicitamente da colui che fu il portavoce del Califfato, Abu Mohammed al Adnani, e capo delle operazioni estere dell’IS (ucciso da un bombardamento mirato americano il 30 agosto). La chiamano anche “road jihad”. Per il premier Benjamin Netanyahu è lì che va cercata la matrice dell’attacco, ma ricorda Guido Olimpio, esperto giornalista del Corriere della Sera, che già nel 2001, “esattamente il 14 febbraio”, un autista di bus palestinese di 35 anni, “forse per una decisione casuale e improvvisa”, diventò un killer lanciando il suo mezzo contro una fermata ad Azur (una ventina di chilometri da Tel Aviv) uccidendo otto persone e ferendone altre 19. “In apparenza non aveva legami con gruppi estremisti, ma Hamas celebrò esultante il gesto”, aggiunge Olimpio che ai tempi era corrispondente da Israele.

L’ODIO CONTRO ISRAELE 

Anche per l’attentato di domenica Hamas, attraverso il braccio armato, le Brigate Qassem, ha celebrato (non rivendicato) l’attentatore, definendolo un “mujaheddin” rilasciato dalle carceri israeliane: un atto “eroico” che arriva nel “contesto della naturale risposta ai crimini dell’occupazione israeliana”, ha scritto l’account Twitter del gruppo terroristico che amministra la Striscia di Gaza. Il momento in Israele è difficile: l’Onu ha da poco votato una risoluzione molto dura, in linea con altre politiche diplomatiche critiche con lo Stato ebraico in questi ultimi anni, che considera gli insediamenti israeliani illegali e su cui per la prima volta nella storia gli Stati Uniti non hanno posto il veto. Alcuni osservatori lo hanno considerato come l’ultimo screzio tra Barack Obama e Netanyahu, due leader che per lunghi anni, nonostante alla guida di paesi storicamente alleati, si sono guardati in cagnesco. È possibile che lo Stato islamico abbia cercato di infilarsi nella situazione politica, spingendo un proprio uomo a compiere il gesto, oppure che sia stata proprio la situazione politica a fare da leva che ha fatto scattare l’azione di un simpatizzante dell’IS (o di un altro gruppo terroristico); è anche vero che molti degli attacchi avvenuti negli ultimi diciotto mesi in Israele, parecchi avvenuti per accoltellamento (“Knife jihad”), sono arrivati da persone che vivono nelle zone a contatto con le aree occupate — lo stesso autista del camion di domenica era di Jabel Mukaber, Gerusalemme Est.

IS CONTRO HAMAS

Da tempo i baghdadisti cercano di incunearsi tra il diffuso network radicale islamico in Palestina. L’argomento con cui i predicatori e i reclutatori dell’IS cercano di farsi largo tra i giovani palestinesi è una sorta di messaggio populistico che suona più o meno così: lasciate perdere Hamas, Fatah e tutti i gruppi locali, perché sono politicizzati, sono corrotti, puntano a ottenere le migliori condizioni per i loro leader fino ad arrivare addirittura a una pace (una resa con il nemico esistenziale dei musulmani lo stato ebraico), hanno preso il potere col voto contrariamente a quanto imposto dalla sharia califfale (che non riconosce il voto popolare, in quanto la guida è divina), mantengono rapporti con i “cani” iraniani (i nemici sciiti del Califfo finanziano infatti Hamas) e dunque, stante tutto questo, voi palestinesi dovete scegliere noi, l’IS, che è la via pura per i veri fedeli. Questo tentativo di insinuarsi ha prodotto una dura campagna di repressione contro alcuni gruppi di predicazione da parte della polizia interna di Hamas, che è formalmente nemico dell’IS, e che soprattutto non vuole lasciare spazio alla predicazione califfale cercando di restare il riferimento per la protesta jihadista dei palestinesi.

Tutti i dettagli sulla concorrenza fra Hamas e Isis in Israele

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