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Morire per l’Europa, ma è davvero possibile? Sembra assurdo in Italia in questo paese europeista quando c’è da prendere ed euroscettico quando c’è da dare (in termini di comportamenti non solo e non tanto di denaro). E’ presto per trarre conclusioni affrettate dall’assassinio della deputata laburista Jo Cox. I migliori giornali inglesi e la Bbc, la voce della nazione, sono cauti non per innata freddezza, ma per pudore, per reazione razionale allo choc, si comportano come seguendo un codice comue.

Eppure è già successo in Svezia nel 2003 dove la ministro degli esteri Anna Lindh è stata uccisa pochi giorni prima del referendum per l’adesione all’euro. Anche in quel caso il colpevole, reo confesso un anno dopo, era uno squilibrato come Tommy Mair l’uomo fermato che avrebbe agito gridando “Britain first”. In Svezia l’omicidio politico (si è poi appurato che c’entrava più la guerra con la Serbia dell’euro) ha ricordato quello di Olof Palme, in Gran Bretagna non accadeva da 200 anni. La morte di Anna Lindh non ha influito sul risultato: ha vinto il no anche se lei era per il sì. Vedremo cosa accadrà nelle isole britanniche e quali conseguenze si avranno in tutta Europa se prevarrà il leave. Ma anche se vincerà il remain l’odio politico ha già diffuso il veleno che uccide e il Regno Unito non sarà più unito.

È in gioco l’identità, si dice, ma non solo. Là dove la politica appare fredda, razionale, basata sul principio di utilità (almeno così ci è stata propinata dai corifei dei luoghi comuni, un esempio virtuoso contro tutti i nostri vizi di paese lacerato dalle passioni) è entrata in ballo la fede. E non a caso il Sun, il quotidiano popolare che più degli altri ragiona con le budella, ha sparato in prima pagina a caratteri cubitali un “Be-leave”, gioco di parole che si pronuncia come believe, cioè credere. In che cosa? Nella nazione? E quale? Gli scozzesi sono per il remain come i gallesi e i nord irlandesi. I separatisti scozzesi annunciano un nuovo referendum sicuri che questa volta vincerà la secessione. E s’innescherà un processo a catena nelle isole e anche nel continente. Catalani e baschi scaldano i motori. Valloni e fiamminghi sono già separati in casa. Quale identità, dunque, in un paese dove il ritorno del nazionalismo dalla fine della guerra fredda ha già provocato guerre in Jugoslavia che hanno insanguinato l’intero decennio Novanta. E oggi alimenta il conflitto in Ucraina.

Soltanto la Cecoslovacchia si è divisa in modo consensuale, ma molto ha influito la circostanza spesso sottovalutata che quella scissione si è svolta in uno spazio economico e di sicurezza a egemonia tedesca, dunque uno spazio “europeista”. Anche questo dimostra che solo dentro un contenitore più grande come l’Unione europea è possibile dare risposta alla esigenza legittima di rispettare la propria identità, al bisogno di restare un legno storto in senso kantiano, che sfugge liberamente e pacificamente a ogni tentativo di venire raddrizzato con la forza. Ogni richiamo assolutistico, ogni “Britain first”, ogni “Be-leave” (dubitiamo che quelli del Sun abbiano il buon gusto di cospargersi il capo di cenere) non provoca altro che lutti, ogni sonno della ragione genera solo mostri.

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