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Intesa, UniCredit, Telecom Italia, Prysmian. Sono le società italiane che con più frequenza attuano piani di incentivazione azionaria. Che cosa sono e che effetto hanno sulle aziende e sull’andamento dei titoli? Alla domanda ha provato a rispondere Sodali, società internazionale di consulenza in ambito corporate governance e proxy assembleare.

COSA E’ IL PIANO DI INCENTIVAZIONE

Intanto, di cosa parliamo. Il piano di incentivazione è un programma con cui le società conferiscono azioni ad alcuni dei propri dipendenti, manager e amministratori. Il Piano attribuisce un beneficio di ammontare non predeterminato, ma variabile, che assume valore in funzione dell’andamento del titolo.
“L’adozione di piani azionari per i dipendenti trova un forte consenso nel mercato – dice a Formiche.net Fabio Bianconi, responsabile mercato Italia di Sodali – Da un lato allinea gli interessi dei dipendenti a quelli degli investitori, soprattutto quelli con una prospettiva di lungo periodo e dall’altro crea un clima aziendale più partecipativo, fidelizzando in maniera più compiuta le risorse e integrando la retribuzione sulla base di obiettivi condivisi e ben identificabili (il corso azionario del titolo)”. 
Uno strumento che si presta a diverse finalità: incentivare e fidelizzare in modo alternativo ai sistemi retributivi i dipendenti che possono incidere in modo considerevole sull’andamento aziendale; favorire la partecipazione dei lavoratori al capitale dell’impresa;
utilizzare le azioni quale mezzo per influire sulle scelte gestionali della società attraverso l’esercizio dei diritti amministrativi in esso incorporati.

CHI PREMIA MANAGER E DIPENDENTI

Sodali ha individuato innanzitutto le principali società del Ftse/Mib che nel 2015 hanno approvato un piano di incentivazione: tre piani su sei sono destinati al Ceo/Management (Finmeccanica, Moncler, Prysmian), due su sei al management (Assicurazioni Generali e Mediaset) ed uno ai dipendenti (Unicredit). Tutti i piani sono stati approvati dalle relative assemblee ordinarie con una schiacciante maggioranza dei votanti tra gli azionisti di maggioranza e minoranza, fatta eccezione per Mediaset e Moncler in cui le minorities si sono espresse con almeno la metà dei voti contrari.
Nel 2016 i piani di incentivazione sono state votate votate dalle assemblee di Assicurazioni Generali e Saipem per il ceo/management; da Campari, Moncler e Ferragamo, per il management e da Prysmiam e Unicredit per i dipendenti. Nel caso delle società Unipol Sai e Unipol Gruppo Finanziario il consenso delle minoranze ai piani azionari è stato di poco superiore al 50% dei votanti.

I VANTAGGI DELLA PARTECIPAZIONE DIFFUSA

Le principali società che implementano strumenti di partecipazione azionaria diffusa sono Intesa, UniCredit, Telecom Italia e Prysmian. “Non dobbiamo dimenticare – proseguono gli esperti di Sodali – che le principali società a controllo pubblico, in fase di privatizzazione, hanno riservato tranche di collocamento ai dipendenti (Eni, Enel, Finmeccanica, Egp, Poste, Fincantieri). Tale componente rappresenta dunque un importante segmento dell’azionariato”.

CONDIVISIONE DEGLI OBIETTIVI

Quali sono i vantaggi di questa pratica? Il più importante è l’allineamento degli interessi di lungo periodo dei dipendenti con quello degli azionisti, soprattutto istituzionali a cui fa seguito una condivisione più ampia degli obiettivi aziendali. I dipendenti sono incentivati a partecipare più attivamente alla governance della società attraverso il voto. Esigenze quanto mai sentite oggi dal momento che, secondo le rilevazioni dei consulenti di Sodali, in Italia i dipendenti azionisti erano circa 176mila nel 2015 contro gli oltre 200mila del 2009. Un calo di oltre il 13% che indica minor fiducia nell’andamento del titolo azionario e un più labile legame con l’azienda.

ITALIA FANALINO DI CODA DELLA PARTECIPAZIONE

Sulle principali 150 società quotate italiane in media la partecipazione dei dipendenti (escludendo gli executive) è pari allo 0,44%. Dato nettamente inferiore al mercato francese (pari al 3,88% sulle principali 250 quotate) e a quello del regno Unito (1,60% sulle top 531). Più lieve lo scarto rispetto alla Germania (con lo 0,89% su 217 società). Esiste anche un effetto di spinta sui titoli? “Non è semplice dimostrare una correlazione positiva tra la presenza di questi piani e la performance del titolo delle società – conclude Bianconi – sono infatti molti i fattori esogeni intervengono nella definizione dei parametri. Tuttavia gli effetti più importanti si realizzano nel lungo periodo e sicuramente concorrono a mitigare il rischio di comportamenti “azzardati” da parte del management”.

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