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Riceviamo e volentieri pubblichiamo

C’è una ritrovata attenzione sul tema della cultura, è innegabile. Le politiche del governo Renzi sembrano riconoscerle un ruolo di primo piano con azioni più o meno efficaci ma sempre orientate nella direzione di una centralità di questo tema. Spot o investimento strategico? Questo è il punto.

All’indomani dei terribili fatti di Parigi, è stato lo stesso Premier italiano a sostenere: “Per ogni euro in più investito sulla sicurezza dovrà esserci un euro in più investito in cultura. Non può essere solo securitaria la risposta al terrore dell’Italia. Ogni centesimo non sarà un costo ma un investimento se ci ricordiamo che stiamo investendo nella nostra identità”. Ed ancora, è di questi giorni l’avvio dell’iniziativa 18app, un bonus di 500 euro per coloro che hanno compiuto, o compiranno, 18 anni nel 2016 da spendere in beni e servizi culturali.

Appunto, un investimento nella nostra identità e, soprattutto, possibilità che a fruirne siano le giovani generazioni, a garanzia di una seria prospettiva. Hanno diritto ad un simile bonus anche gli insegnanti e, come nel caso precedente, il loro continuo aggiornamento è garanzia di una scuola più al passo coi tempi. Investimenti importanti, apprezzabili, senza se e senza ma. C’è, però, un secondo step che manca ad una operazione che consentirà di dimostrare come “ con la cultura si mangia”, a dispetto di chi la pensa o l’ha pensata diversamente. Tutti questi interventi, ripeto importanti, guardano, com’e giusto che avvenga in una prima fase, all’utente finale, al fruitore.

Ora, è necessario prestare più attenzione all’offerta, a coloro che, spesso in condizioni difficili, portano avanti delle attività che sono autentici presìdi sociali sui territori. Dietro questo mondo ci sono donne e uomini che investono, lavorano, garantiscono che si possa fruire di beni ed attività culturali. Troppo spesso queste donne e questi uomini sono stati lasciati soli a combattere contro una burocrazia imperante ed una politica assente. Strutture pubbliche, para-pubbliche, private costrette ad essere trattate tutte allo stesso modo, con le lentezze della pubblica amministrazione ed i rischi di un privato che ci mette del proprio. A questo mondo bisogna volgere lo sguardo, al fine di garantire una forte e competitiva offerta culturale che, in sinergia con la nostra vocazione turistica, sono il vero core business del Paese.

Una legge sul cinema, in discussione proprio in questi giorni in Senato, è un primo passo in tale direzione. Maggiori risorse e politiche più incisive previste nel provvedimento citato potrebbero garantire un rafforzamento della filiera cinematografica, a partire da quello straordinario presidio sociale e culturale che sono le sale. Su questa scia bisognerà proseguire guardando a tutti coloro che si occupano di valorizzazione di beni culturali o di produzione e diffusione delle attività. La strada potrebbe essere quella di immaginare, sulla scia di quello che avviene nel terzo settore, un modello di impresa culturale che ne consideri la peculiarità. Una strada, questa, che considererebbe la cosiddetta “eccezione culturale”. La legge sul cinema aveva al suo interno una delega sullo spettacolo dal vivo che, molto probabilmente, verrà stralciata in aula la prossima settimana. Si procederà, quindi, subito dopo a discutere le norme sullo spettacolo. Confidiamo che possa essere questo lo strumento attraverso il quale inserire l’idea dell’impresa culturale.

Continuare ad incentivare la domanda migliorando le condizioni per garantire l’offerta sarà la strada da percorrere per “far mangiare” con la cultura un Paese che su questo ha molto da dire.

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