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Già sono stati formulati commenti e valutazioni sugli esiti del referendum di domenica scorsa che, al di là dei comprensibili fervori polemici che li hanno accompagnati, e che ci auguriamo si spengano quanto prima – devono aiutarci invece a focalizzare sempre meglio il problema di come soddisfare il fabbisogno nazionale di energia.

Premesso che per tutelare gli ecosistemi secondo le indicazioni scaturite dalla Conferenza di Parigi è necessario potenziare ulteriormente il risparmio energetico con l’impiego di tutte le tecnologie e le best practices che lo consentono, è confortante a nostro avviso che si sia tutti d’accordo sulla necessità di incrementare le energie da fonti rinnovabili che vedono già il nostro Paese all’avanguardia in Europa grazie agli investimenti (e agli incentivi erogati) promossi negli scorsi anni che, fra l’altro, già da tempo hanno posto l’esigenza di completare l’adeguamento delle reti di trasmissione all’imponente aumento di capacità di generazione installata. Sotto questo profilo, la Puglia è una regione all’avanguardia, avendo conseguito – accanto a quelli da combustibili fossili – primati di produzione di energia generata da fonte eolica e solare, grazie anche a scelte compiute nel decennio di governo vendoliano, pienamente confermate dal Presidente Emiliano.

Si sta lavorando allora – come ha ricordato anche Renzi – per potenziare i sistemi e le tecnologie di accumulo dell’energia prodotta da fonti rinnovabili, utilizzabili anche per l’autotrazione: l’incremento delle colonnine di ricarica, ad esempio, è reso necessario da una diffusione di vetture con motori ibridi o solo elettrici, già in produzione o in fase di sperimentazione. Ed anche in questo campo, l’industria localizzata in Puglia sta facendo la sua parte, se è vero che la Magneti Marelli di Bari, con incentivi regionali a valere sui fondi europei 2014-2020, sta realizzando nuovi investimenti per la messa a punto di un motore elettrico destinato ad equipaggiare vetture che nei prossimi anni vedranno aumentare il loro numero, nella misura in cui costeranno sempre di meno e avranno costi di esercizio sostenibili.

Ma non dimentichiamo che anche nel campo della propulsione tradizionale si stanno realizzando – ancora una volta nella stessa Puglia e anche in questo caso con incentivi regionali – tecnologie sempre più ecosostenibili, come ad esempio i common rail di ultima generazione della Tdit-Bosch di Bari ove opera il CVIT, un avanzatissimo Centro ricerche con quasi 250 occupati. Ed è appena il caso di ricordare che sia Magneti Marelli che la Bosch fanno parte del Medis, il prestigioso Distretto tecnologico della meccatronica operante nella regione.

Allora in questo scenario, tracciato molto schematicamente, saranno ancora necessari gas e petrolio per un certo numero di anni? Sì, lo sappiamo tutti, quando analizziamo con onestà intellettuale i problemi (reali) che abbiamo di fronte in Italia. E dovremo importarne, con una significativa incidenza sulla nostra bilancia commerciale, i cui esborsi possiamo attenuare con l’impiego di risorse estraibili sul territorio nazionale. Proprio per questo la loro estrazione sui pozzi già attivi on e off shore deve proseguire, ovviamente nel pieno ed assoluto rispetto di tutte le normative di sicurezza prescritte per il loro esercizio che in Italia sono più rigorose rispetto ad altri Paesi. Su quegli impianti di estrazione – e nelle filiere (molto lunghe) delle loro attività indotte che includono imprese impiantistiche, meccaniche, elettriche, navali, di ingegneria e di distribuzione di carburanti, etc. – lavorano in Italia oltre 11mila addetti molto qualificati che, diciamolo con un pizzico di orgoglio, sono un vanto del mondo professionale italiano ed anche pugliese, se è vero che a Taranto, ma anche a Brindisi, abbiamo realizzato sino al 2000 le grandi piattaforme della Belleli Off Shore, ed oggi possiamo costruire vari moduli per impianti del settore con la Leucci Costruzioni.

Un’ultima (pacata) considerazione ci sia consentita: nelle settimane che ci avvicinavano alla scadenza del referendum, è riecheggiata più volte la polemica contro i ‘petrolieri’ e la lobby delle loro compagnie, un’espressione che certo potrebbe anche colpire negativamente l’opinione pubblica o alcune sue componenti. Ma se ragionassimo sempre e soltanto con la categoria spregiativa della lobby, allora dobbiamo sapere che anche quella delle grandi imprese che producono energie rinnovabili e tutte le tecnologie per il comparto lo è, non essendo certo costituita da filantropi, ma da aziende che perseguono (legittimamente) i propri interessi in logiche di mercato e alle quali in anni passati sono stati concessi, a livello nazionale e locale, rilevanti incentivi pubblici anche per difendere l’occupazione, come è accaduto anche in Puglia con la multinazionale danese Vestas della quale sono stati salvati oltre 500 posti di lavoro a Taranto. E non dimentichiamoci per un solo istante che, sempre a Taranto, abbiamo da difendere in logiche di ecosostenibilità i 1.500 occupati diretti e indiretti della raffineria del’Eni che, da giorni, non riceve più il petrolio della Val d’Agri in Basilicata che ne giustificava, nonostante le sue limitate capacità, la conservazione in esercizio. Allora, dibattiamo pure su energie rinnovabili e da combustibili fossili, ma preoccupiamoci – oggi e non domani – di posti di lavoro che rischiamo di perdere a Taranto.

ilva, pirro, dossier, tap

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