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Come si spiega il successo elettorale di Donald Trump? Alcuni analisti lo attribuiscono alle qualità personali del candidato, altri al razzismo di una parte della società americana che non ha mai accettato l’elezione di un presidente afro-americano, paladino delle minoranze etniche e degli immigrati. Tuttavia, l’ascesa politica di Trump deve essere attribuita anche agli errori del partito Repubblicano (Gop), colpevole di aver abbandonato i suoi elettori storici, il ceto medio e la classe operaia bianca, ovvero gli elettori che hanno pesantemente sofferto le conseguenze della crisi economica. Mentre le élite finanziarie responsabili del collasso dell’economia americana continuavano a prosperare grazie al bail-out di Washington, milioni di americani del ceto medio perdevano i risparmi, il lavoro e la casa.

La situazione economica che è alla base della rabbia della classe media ed operaia si è sedimentata nel corso degli ultimi 40 anni. Dal 1979 al 2015, infatti, il numero dei lavoratori nell’industria manifatturiera è diminuito del 36%, passando da 19 a 12 milioni, a fronte di una crescita della popolazione americana del 43% (Bureau of Labor Statistics).

Nel frattempo la classe media si è impoverita e le disuguaglianze economiche sono aumentate. Secondo l’economista Thomas Piketty, lo share di ricchezza nazionale detenuto dal 10% più ricco della popolazione è passato dal 30-35% degli anni ’70 al 45-50% degli anni 2000-2010, tornando ai livelli dei primi del ‘900.

Nel 2001, con l’entrata della Cina nel Wto, migliaia di fabbriche della Rust Belt, il maggiore distretto industriale statunitense, hanno chiuso a causa della competizione proveniente dai prodotti cinesi. Alla globalizzazione economica si è poi aggiunta la crescente automatizzazione del lavoro che ha ridotto fortemente l’impiego di manodopera nelle fabbriche. Infine, i lavoratori low skill (non specializzati) devono competere con gli immigrati per i lavori meno remunerativi e l’assistenza sociale.

Anche Obama in una recente intervista al New York Times ha ammesso che nonostante i parametri economici siano fortemente migliorati rispetto al suo insediamento, molti cittadini americani si sentono lasciati indietro.

Oggi, secondo un sondaggio della Federal Reserve Board, il 47% degli americani avrebbe serie difficoltà a reperire 400 dollari per sostenere delle spese impreviste. Mentre il reddito delle famiglie si è ridotto di 4 mila dollari rispetto agli anni ’90, la ricchezza media dei membri del Congresso ha raggiunto il milione di dollari, 18 volte il reddito della famiglia media americana (dati del 2014 del Center for Responsive Politics). Tutto questo ha fornito dell’ottimo combustile all’ascesa populista di Trump.

Eppure solo qualche anno fa, il Gop era riuscito ad aumentare il consenso tra il ceto medio e operaio. Molti elettori avevano abbandonato il partito Democratico perché contrari alla riforma sanitaria di Obama, ritenuta colpevole di aver ridotto la copertura per la classe media allo scopo di finanziare quella per le minoranze più povere. Nel corso delle elezioni primarie però, questi elettori hanno voltato le spalle ai candidati appoggiati dalla leadership del partito Repubblicano, favorendo un outsider come Donald Trump.

Perché? L’establishment del partito è accusato di essersi identificato troppo con i suoi ricchi donatori. Questo soprattutto dopo la sentenza della Corte Suprema del 2012 che ha abolito ogni limite alle donazioni per le campagne elettorali. Disinteressandosi delle difficoltà del ceto medio, il Gop ha continuato ad offrire una ricetta economica comunque incentrata sui tagli fiscali per i ceti più abbienti e tagli allo stato sociale.

Trump è diventato il paladino di questi elettori. Si è proposto come il miliardario-operaio (ha lavorato nell’azienda di costruzioni del padre quando era giovane) che ha rifiutato le donazioni delle grandi lobby americane e ha promesso di espandere l’assistenza sociale. Trump si è schierato contro il Trans-Pacific Partnership (Tpp) da sempre sostenuto dalla leadership repubblicana.

Gli elettori della classe media, infatti, sono contrari agli accordi internazionali di libero scambio che potrebbero portare all’estero milioni di posti di lavoro. Trump vince grazie alla sua retorica contro lo ius soli, i musulmani e l’immigrazione dal Messico. Vince perché propone di deportare gli immigrati illegali e perché promette una tassa del 45% contro le importazioni cinesi. La sua ricetta per ridurre il debito pubblico americano? Non pagare i creditori.

Il populismo riguarda anche il partito Democratico, dove Bernie Sanders ha raccolto il voto del malcontento dei giovani contro Washington e Wall Street. Ma Sanders è rimasto sempre dietro Hillary Clinton nella corsa alla nomination democratica, mentre Trump nonostante qualche battuta d’arresto ha raccolto il numero maggiore di delegati e dopo il ritiro degli altri candidati repubblicani è ormai sicuro di ottenere la nomination.

Pubblicato su Italia Oggi, quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi

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