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Un documento di cui parla l’Huffington Post e redatto dal Cofs (Comando interforze per le Operazioni delle Forze Speciali) sarebbe stato trasmesso mercoledì 10 agosto al Comitato di controllo sui servizi segreti (Copasir), e, scrive il sito “classificato segreto”: conterrebbe specifiche sull’impiego di forze speciali italiane sul teatro di guerra iracheno e soprattutto in Libia. Le special forces inviate da Roma si troverebbero impegnate in operazioni effettuate in applicazione della normativa che dallo scorso novembre consente a Palazzo Chigi di dare l’autorizzazione per missioni all’estero militari di alcuni reparti specialistici delle forze armate italiane (Col Moschin, Comsubin, Gis dei Carabinieri) mettendoli sotto la catena di comando dei servizi segreti (immunità diplomatica e facilitazioni comprese). Per l’HuffPost il governo sarebbe pronto a porre il “Segreto di Stato” sulle attività che questi corpi speciali stanno compiendo, visto la delicatezza delle operazioni in corso. Mentre uscivano le notizie sul documento italiano, il governo libico annunciava che la campagna lanciata contro lo Stato islamico a Sirte era giunta forse a un punto di svolta: due dei punti nevralgici, l’ospedale Ibn Sina e il complesso Ougadougou, sarebbero stati riconquistati.

FORZE SPECIALI CONTRO LE MINE

Vincenzo Nigro su Repubblica racconta che forze speciali italiane si trovano al fronte di Sirte, in Libia, impegnate nell’insegnare le attività di sminamento ai miliziani misuratini, che per conto del governo sotto egida Onu insediatosi a Tripoli stanno combattendo lo Stato islamico, in quella che esattamente un anno fa il New York Times definì la sua “fiorente roccaforte” locale. Scrive Nigro: “Gli uomini dell’Esercito sono stati schierati prima a Tripoli per creare un nucleo di sicurezza per gli agenti dell’Aise, i servizi segreti, durante le missioni più delicate. Poi le forze speciali sarebbero passate da Benina, la base aerea del generale Haftar nell’Est del paese. E infine sono arrivati a Misurata. Dove sembra perfino che i militari britannici avessero chiesto ai libici di poter rimanere soli a lavorare con le brigate di Misurata, assieme agli americani che da giorni guidano gli attacchi aerei della Us Air Force e pilotano da terra i piccoli droni tattici che a Sirte servono a scoprire i nascondigli dell’Is. Una fonte della Difesa a Roma conferma che in Libia sono in azione nostre forze speciali, ma non vuole commentare nessuna delle operazioni in cui sono impegnate“.

C’è da aspettarsi che nei prossimi giorni seguirà un’impennata di informazioni a tale proposito, su un argomento che più volte, mesi fa, è stato trattato anche da Formiche.net, e su cui ormai manca soltanto al conferma definitiva del governo, visto che chiunque, dagli alleati occidentali a quelli libici hanno detto la loro sulla presenza di operatori italiani in Libia. Ci sono: accompagnano reparti dei servizi esteri che stanno sul posto per intavolare le trattative anche politiche a sostegno del governo di Fayez Serraj, che le Nazioni Unite ha sposato come premier e come risolutore della crisi iniziata da anni. È possibile, probabile che le capacità tecniche degli uomini dei gruppi di élite italiani siano state messe a disposizione dei paramilitari delle milizia di Misurata che combattono i baghdadisti (pro-Serraj e dunque pro-Onu). Sirte è praticamente un campo minato, i racconti dei reporter sul posto parlano di ordigni improvvisati piazzati praticamente ovunque, e le tecniche di sminamento degli italiani sono una delle capacità di punta apprezzate a livello internazionale. Mine e cecchini, d’altronde, stavano decimando i reparti di Serraj. Erano partiti in seimila, agli oltre trecento morti si sommano i duemila feriti: ci si avvicina verso un dato agghiacciante, quasi la metà dei miliziani libici impegnati nella campagna Banyan al Marsous per riconquistare Sirte sono stati colpiti dai soldati di Abu Bakr al Baghdadi, che dopo aver perso terreno rapidamente nei primi giorni dell’offensiva lanciata un paio di mesi fa, si sono asserragliati in un rettangolo di Sirte di pochi chilometri quadrati di superficie aspettando il proprio martirio (preoccupandosi intanto di martirizzare i nemici).

NON VOGLIAMO SOLDATI STRANIERI

Un altro inviato in Libia, Lorenzo Cremonesi del Corriere della Sera, aggiunge informazioni importanti attraverso un’intervista al premier Serraj. Il primo ministro spiega che è stato proprio per le tecniche adottate dall’IS nella “difficile guerra urbana di Sirte” che i suoi comandanti lo hanno sollecitato a richiedere l’intervento americano, ossia l’invio del supporto aereo che dovrebbe proteggere dall’altro i miliziani libici; finora, in una decina di giorni, una trentina di raid, non gran cosa. “Comunque i nostri uomini possono fare da soli una volta ottenuto la copertura dall’aria” specifica Serraj al Corsera: “Ho chiesto solo l’intervento con attacchi aerei Usa che devono essere molto chirurgici e limitati nel tempo e nelle zone geografiche, sempre coordinati con noi. Non ci servono truppe straniere sul suolo della Libia“. Dietro c’è anche molta retorica: Serraj è in crisi di consensi da sempre, da quando, per dire, è arrivato via mare a Tripoli e s’è rifugiato in una base militare per evitare che i miliziani locali lo ributtassero a mollo. Non può e non vuole, conoscendo il nazionalismo orgoglioso dei suoi concittadini, ammettere che la sua più importante missione da quando è in carica, scacciare lo Stato islamico dal paese, senza l’aiuto delle forze occidentali sarebbe quasi impossibile. E, senza il sostegno delle istituzioni europee e dell’America, lo sarebbe con ogni probabilità anche la soluzione delle altre e più importanti questioni da affrontare: la mancanza di liquidità; il bilancio che va a rotoli; i black out elettrici continui e prolungati; la chiusura degli ospedali, aspetti messi in primo piano dal ricercatore italiano Mattia Toaldo, dell’Ecfr di Londra, su Formiche.net. Cremonesi chiede nello specifico se la Libia ha chiesto all’Italia un aiuto militare e Serraj risponde: “All’Italia noi chiediamo di trattare e curare nei suoi ospedali i nostri feriti di guerra. Vorremmo più cooperazione in questo senso. Gli aiuti medici e i visti per il trasferimento dei nostri feriti sul vostro territorio dovrebbero essere più rapidi. Abbiamo anche richiesto alcuni ospedali da campo che sarebbero molto utili per trattare in tempo utile i nostri feriti gravi sulle prime linee. Inoltre, abbiamo già ottenuto dall’Italia partite di visori notturni e giubbotti anti-proiettili che servono per salvare la vita ai nostri uomini. Ma non bastano. Necessitiamo di altri invii e altri aiuti“; questo genere di operazioni medico-militari, con trasporto di feriti libici negli ospedali italiani s’è visto in almeno due occasioni, la prima dopo il grande attentato di gennaio alla caserma di Zliten, e pochi giorni fa, dall’aeroporto di Misurata. Poi Serraj aggiunge: “Vediamo con grande favore la scelta italiana di permettere agli aerei Usa di utilizzare la base di Sigonella. I contribuiti italiani in ogni caso sono sostanzialmente di carattere umanitario. Contribuiscono a risparmiare la perdita di vite umane“. Niente a proposito di forze speciali che si occupano di sminamenti al fronte di Sirte, forse anche perché c’è una accordo di segretezza con Roma, mentre il Washington Post martedì ha raccontato di nuovo della presenza di forze speciali americane che dal terreno indirizzerebbero i raid: è probabile che, seguendo uno schema già visto in Siria, stiano fornendo il supporto necessario a questo genere di attività ai miliziani misuratini.

IL DIBATTITO ITALIANO

Il dibattito politico a Roma, calmierato dalla pausa di agosto, ruota intorno a una questione semplice, sollevata in modo esplicito quanto ingenuo da Alessandro Di Battista, uno dei leader nazionali del Movimento 5 Stelle: “Non dobbiamo farci percepire come nemici in Libia, perciò sarebbe un errore enorme concedere le basi per i bombardamenti” americani (a proposito, leggere il corsivo del direttore di Formiche.net, Michele Arnese). Il pensiero politico oscilla dunque tra il non esporsi troppo per evitare attacchi terroristici che possano colpire il nostro paese, e il dare completo sostegno agli impegni internazionali dell’Italia, come l’appoggio agli alleati americani oppure quello preso in sede Onu e direttamente a Tripoli con Serraj. Come spesso accade, lo Stato islamico s’è inserito nel dibattito politico, facendo uscire due video (uno dalla Libia e una dalla Siria) in cui si inquadra apertamente l’Italia (con tanto di passaggi sul presidente della Repubblica, del Consiglio e sul ministro degli Esteri) come obiettivo da colpire.

Non è la prima volta che l’Italia finisce nella propaganda dell’IS, anzi, San Pietro o il Papa sono obiettivi continuamente inseriti nella narrativa dei jihadisti di Baghdadi, ma questo genere di video, segnala un esperto come Daniele Raineri del Foglio (anche lui rientrato da poche settimane da Sirte) sono “menzioni specifiche” che “seguono uno schema già visto di proclami, per esempio contro la Francia e la Germania, che hanno preceduto attacchi interni”.

Come procede l'impegno dell'Italia in Libia?

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