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Genova è la mia città di adozione ed è la città che porto nel cuore, perché è qui che ho cresciuto la mia famiglia e fondato la mia attività. È una città splendida, tra le più belle in Italia e nel mondo e dalle grandi potenzialità.

Una città che ha anche offerto opportunità a chi – ad esempio, come me – ha creduto nella possibilità di fare un’imprenditoria sana.

Oggi a Genova è possibile respirare quella stessa aria di fermento, che ho trovato 30 anni fa, quando mi sono trasferito, per non lasciarla più. Eppure a quell’aria di euforia propositiva, che ogni giorno viene alimentata in particolare dalle giovani generazioni, va però dedicata una nuova attenzione. Il perché è presto detto: viviamo in un’epoca totalmente rivoluzionata dalla tecnologia, dove, se è vero che il concetto di spazio e presenza fisica ha meno valore rispetto a 30 anni fa, è altrettanto vero che bisogna porre l’attenzione sulla possibilità di attribuire maggiori opportunità di crescita, soprattutto ai giovani; opportunità che possono – e anzi devono – essere traghettate dalle nuove tecnologie e da un’attenzione maggiore per il territorio.

Ho più volte avuto modo di sottolineare che Genova sta disperdendo le proprie potenzialità a causa del sempre più evidente isolamento: mancano infrastrutture e senza collegamenti aerei che siano almeno pari a quelli degli altri scali, le imprese sono fortemente penalizzate. Per non parlare dei collegamenti ferroviari, a dir poco obsoleti nell’epoca dell’alta velocità. Un contesto del genere scoraggia gli investimenti, perché la mancanza d’infrastrutture si traduce in un aumento dei costi.

Oggi chi fa imprenditoria a Genova, lo fa per affetto della città, perché ha sviluppato un legame indissolubile col territorio, anche a scapito del business. Ma ad essere scoraggiati non sono solo gli imprenditori: qualche giorno fa, sulle pagine di Repubblica, il rettore dell’Università di Genova, Comanducci, commentando i dati di un’inchiesta della stessa Repubblica sulle nuove immatricolazioni universitarie, ha sottolineato come la città sia rimasta isolata e sia sempre più emarginata dai flussi di business, autoreferenziale e poco inclusiva. Le prospettive di lavoro, così come vengono percepite in base allo sviluppo economico del territorio, fanno propendere i giovani per altri atenei del nord Italia.

Per questo c’è bisogno di un forte segnale di discontinuità, che faccia decollare il territorio e lo renda più attrattivo ad investimenti e progetti in grado di incidere sullo sviluppo della città; la logica attualmente vigente, per cui una persona viene valutata non tanto per le proprie capacità, ma per il colore politico o per il luogo di nascita, ha portato ad uno stallo produttivo, su cui bisogna intervenire. Tutti insieme: Università, mondo imprenditoriale e mondo politica. A tal proposito, è bello constatare come anche nel mondo politico, ci sia una grande attenzione. Qualche giorno fa, il Presidente della Regione, Toti, ha ricordato l’importanza di lavorare uniti per il territorio e sul miglioramento di infrastrutture, turismo, per rilanciare la città.

Se è vero che la qualità della vita a Genova è tra le più alte in Italia, lo stesso non può dirsi per prospettive future della città. Noi abbiamo fatto il primo passo e stiamo lavorando in sinergia con l’Università, con la quale abbiamo avviato già da anni un processo di collaborazione, su progetti innovativi in grado di restituire il dovuto lustro alla città, puntando anche su un cambio generazionale e su nuovi modelli d’imprenditoria.

Insomma, per tenere accesa questa città bisogna rimboccarsi le maniche, senza dare vita a pettegolezzi e lamentele inutili, e capire l’importanza delle persone che, a tutti i livelli, si dimostrano aperte ad offrire un contributo. Le basi per imprimere quella svolta in grado di riportare in alto il territorio ci sono tutte. Basta solo pensare in positivo.

Genova: la svolta è vicina se lavoriamo uniti e senza pregiudizi

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