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Il G20 non è il G7, versione ormai paciosa del G8 dopo l’estromissione della Russia. Ed a Shanghai, la scorsa settimana, sono emersi nettamente, seppur paludati nel fraseggio diplomatico, tutti i nodi geopolitici del nostro tempo, le violente interferenze delle politiche monetarie sulla stabilità economica e finanziaria, le forti preoccupazioni per gli incontrollabili movimenti internazionali dei capitali, alimentati dalle politiche monetarie accomodanti assunte dalle banche centrali per superare la crisi.

Mentre i cittadini guardano all’economia prevalentemente sotto il profilo dei redditi, dei posti di lavoro e della stabilità dei risparmi variamente investiti tra Borse e Banche, le preoccupazioni al tavolo del G20 di Shanghai sono state ben altre, come è dimostrato dal modo assai sbrigativo se non addirittura liquidatorio con cui è stata trattata la questione della crescita. Le sono state dedicate appena poche righe, ai paragrafi 2 e 3 del Comunicato Finale, in cui si è ribadita la solita cantilena secondo cui è necessario utilizzare in modo convergente le politiche fiscali e monetarie, nell’ambito più complessivo delle riforme strutturali, elevate al roboante rango di “Framework for Strong, Sustainable and Balanced Growth”: evviva!

Molto più ampiamente, invece, si è discusso dei conflitti sempre più evidenti tra le diverse aree politiche e monetarie e delle prospettive di riassetto della struttura del Fmi, una questione che va ben oltre la revisione degli equilibri storici a vantaggio dei Paesi occidentali, dando il via libera dal 2017 alla revisione generale delle quote di partecipazione e dei corrispondenti diritti di voto. Si delinea la trasformazione del Fondo Monetario Internazionale in una sorta di Organizzazione Internazionale per la Finanza Globale, che tenga contemporaneamente conto di due trasformazioni: da una parte, della fine del monopolio del dollaro sulla scena internazionale e conseguentemente della architettura di Bretton Woods fondata sul binomio Fmi – Banca Mondiale con sedi a Washington; dall’altra, dello spostamento del focus sulla stabilità dei sistemi finanziari rispetto a quella delle economie reali. Il Financial Stability Board germina infatti una molteplicità di istituzioni volte a monitorare e controllare i flussi internazionali di capitale e la stabilità delle istituzioni finanziarie. Anche gli Accordi di Basilea, che definiscono nell’ambito della BRI le regole prudenziali comuni ai sistemi bancari, divengono una tessera del più ampio mosaico rappresentato dal sistema finanziario globale.

Il Comunicato parte così da una considerazione lapalissiana, secondo cui l’eccessiva volatilità ed i disordinati movimenti dei tassi di cambio possono avere implicazioni avverse sulla stabilità economica e finanziaria: è la necessaria premessa per l’impegno ad una consultazione più stretta, per ribadire il ripudio delle svalutazioni competitive e di ogni forma di protezionismo. Visto quanto è successo in questi anni, sono affermazioni di facciata, che non riescono a nascondere la gravità degli schock valutari e delle conseguenze sulle economie reali che sono stati determinate dalle politiche monetarie delle diverse Banche centrali. Vale per tutti: anche questa settimana, ad esempio, la riduzione dell’obbligo di riserva per le banche cinesi (il quarto intervento di fila, per aumentarne ancora la liquidità) ha avuto come conseguenza uno slittamento dello yuan; la prossima riunione della Bce suscita grandi attese sui mercati in termini di ulteriore liquidità che verrà resa disponibile; così come è stata la inattesa sospensione del rate-lift da parte della Fed a dicembre ad innescare ad inizio d’anno una fortissima volatilità sui mercati. La Banca del Giappone, a sua volta, ha invece sorpreso tutti stabilendo tassi negativi sui depositi. Che tutte le banche centrali siano davvero in difficoltà, è fuor di dubbio.

C’è stata, al riguardo, una chiara autocritica: in futuro, si promette, saranno attentamente calibrate e comunicate le azioni di politica macroeconomica e strutturale al fine di ridurre le incertezze nei comportamenti, minimizzare le conseguenze negative e promuovere la trasparenza. La forward guidance da parte delle banche centrali, seguita da improvvisi ripensamenti e poi da annunci per rabbonire i mercati, amplifica l’incertezza.

La globalizzazione, poi, non è più un mondo piatto: anche la Banca Mondiale ha perso completamente la centralità politica nella definizione dei processi di sviluppo che le era stata attribuita a Bretton Woods. Un po’ tutte le aree geo-monetarie si sono dotate di apposite banche di sviluppo, dalla Bei alla New Development Bank (NDB) appena fondata dai Paesi Brics. Il Comunicato considera favorevolmente il fenomeno delle Multilateral Development Banks (MDBs) ed annuncia il lancio di una “global infrastructure connectivity alliance initiative” allo scopo di migliorare le sinergie e la cooperazione dei programmi di investimento infrastrutturale: è il tentativo di recuperare comunque una qualche forma di coordinamento in un assetto geopolitico, e correlativamente monetario, ormai multipolare.

Si affronta poi la questione dei movimenti di capitale, da oltre un trentennio completamente liberalizzati, mentre al tempo e nella architettura teorica sottesa agli Accordi di Bretton Woods erano soggetti al controllo degli Stati. Questi movimenti, si afferma nel Comunicato, rappresentano un elemento centrale del sistema monetario internazionale. Al riguardo, visti i recenti sviluppi dell’economia globale, si assume non solo l’impegno di migliorare il monitoraggio dei flussi, inclusa una più tempestiva identificazione dei rischi, ma anche quello di “fare il punto della situazione e di rivedere strumentazioni e normative in modo appropriato per affrontare le sfide nascenti da ampi e volatili flussi internazionali di capitali, tenendo conto delle esperienze dei Paesi”.

Dopo la volatilità dei tassi di cambio, è questa la seconda presa d’atto delle pesanti interferenze tra le diverse aree: che siano determinate o meno dalle politiche monetarie non importa. E’ infatti importante creare una “adeguata ed effettiva cintura di sicurezza finanziaria globale” (GFSN – Global Financial Safety Net), di cui si discuterà già in aprile.

In questo contesto rimangono assorbite le regole di Basilea III sul capitale bancario occorrente per fronteggiare le perdite (Total Loss Absorbing Capacity – TLAC), che si collocano ad un livello di dettaglio rispetto alla normativa più generale, rappresentata dai “Principles for Financial Market Infrastructures (FMIs)”, definita congiuntamente dal Committee on Payments and Market Infrastructure (CPMI) e dalla International Organization of Securities Commissions (IOSCO): ormai, si deve fare riferimento non solo ai tradizionali rischi di credito del sistema bancario, quanto alla capacità di assorbimento, ai piani di ripresa e di risolvibilità delle controparti centrali (CCPs) che operano sul mercato dei derivati. Per i casi in cui non ci sia un clearing centralizzato, andranno implementati i criteri definiti dallo IOSCO e dal Basel Committee on Banking Supervision (BCBS). Dietro ognuno di questi acronimi e ciascuno di questi impegni si intravvedono le questioni ed i più gravi per la stabilità finanziaria globale.

Ci sono due ulteriori processi di controllo dei movimenti internazionali di capitali, che si innestano sulla falsariga della lotta al riciclaggio che ha dato vita in questi anni alle Unità di Informazione Finanziaria. In primo luogo, c’è la implementazione del progetto G20/OCSE volto a creare un sistema di tassazione internazionale equo e moderno, volto ad eliminare i processi di erosione delle basi imponibili e di arbitraggio nella allocazione dei profitti (Base Erosion and Profit Shifting – BEPS); c’è poi la lotta al terrorismo, basata sulla Risoluzione 2253 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, che va combattuta intercettando i canali di finanziamento internazionale (FAFT – Counter-Terrorist Financing Initiatives).

Ecco perché l’economia reale è stata l’ultimo dei problemi di questo G20, mentre il controllo del sistema finanziario globale è stato il primo. I Ministri delle finanze ed i Governatori delle banche centrali hanno in mano tutte le leve per intervenire sulla crescita dell’economia reale, ma non intervengono per rafforzarla temendo le reazioni dei mercati finanziari, quelli sì incontrollabili, come noi italiani, con gli spread impazziti, sappiamo bene. Sono alle prese con una finanza internazionale che ha raggiunto dimensioni e dinamiche sconosciute ed imprevedibili. Dopo la liberalizzazione dei movimenti di capitale, sono oceani: le politiche monetarie delle banche centrali costituiscono i venti che li agitano, creando onde dalle direzioni contrastanti a seconda di chi soffia più forte. Così, ministri delle finanze e banchieri centrali si affidano fideisticamente ad organismi dall’acronimo sempre più lungho ed oscuro, sempre più lontani da qualsiasi legittimazione pubblica: saranno loro ad indicare rischi e rimedi. C’era mare grosso e incrociato, al G20, e durerà ancora: mantenere la rotta sarà una impresa, per tutti.

Vi racconto cosa combinano Fmi e banche centrali

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