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Nella serata di mercoledì, la sedicente agenzia di stampa Amaq News ha diffuso la notizie della morte di Omar al Shishani, uno dei principali comandanti della giunta militarista dello Stato islamico. Sarebbe morto in battaglia in Iraq, a Shirqat, nei pressi di Mosul. Amaq News è un organo di propaganda dell’IS e dunque quando batte notizia è quasi sempre attendibile, perché sotto la veste camuffata di informazione diffonde note propagandistiche; stavolta usa la definizione “fonti militari”, ma si sa che è solo un espediente per cercare di aumentare la propria credibilità e millantare una qualche professionalità. Nessuna agenzia stampa indipendente, e nemmeno le fonti militari, sono per il momento in grado di verificare quanto riportato.

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LE ALTRE MORTI DI SHISHANI

Il nome di Shishani era inserito da diverso tempo in una stretta lista dead or alive statunitense: era composta da quattro soli elementi, e insieme al comandante c’erano Abu Mohammed al Adnani, il portavoce del Califfato, Abu Alaa al Afri, il primo dei diretti sottoposti al Califfo (eliminato da un raid americano), e un reclutatore molto importante diventato coordinatore delle azioni kamikaze. La taglia sulla sua testa, di 5 milioni di dollari, posta dal dipartimento di Stato americano con Executive Ordere 13224, era una delle più alte tra quelle riservate ai leader dell’organizzazione. Forse anche per questo non è la prima volta che viene dichiarato morto, anzi, se ci fosse una classifica sulle uccisioni dichiarate e poi smentite dei senior commander del Califfato, Shishani sarebbe in cima: qualche tempo fa il giornalista della kuwaitiana Al Rai Elijah Magnier disse: “Questa sarà là centoventunesima volta che viene dichiarato morto”. Magnier si riferiva a quando, a marzo di quest’anno, fu addirittura il Pentagono a ufficializzarne l’eliminazione, ma poi nel corso delle settimane successive i media dello Stato islamico, tra cui anche Amaq News, ne diedero smentita, innescando una sorta di telenovela. Di solito, quando muore un leader così importante, ne vengono offerti tributi a livello propagandistico e spesso gli viene intestata una campagna militare: questi passaggi sono mancanti in primavera, e dunque è sembrato che la dichiarazione dei militari americani fosse stata frettolosa, ossia arrivata prima di verificare accuratamente se sotto i colpi lanciati sul convoglio militare in cui il comandante viaggiava verso Shaddadi (città del nord siriano in quel momento fulcro dei combattimenti), ci fosse realmente finito anche Shishani.

OMAR IL CECENO

Omar al Shishani differentemente da come indica il suo kunya non è ceceno (al Shishani, il ceceno), ma georgiano, nato nel 1986: segno inconfondibile, la folta barba salafita rosso fuoco. Il suo vero nome è Tarkhan Tayumurazovich Batirashvili. Il nome de guerre deriva dal fatto che la katibah, la brigata combattente, a cui apparteneva era composta da caucasici, di cui molti arrivati dalla Cecenia. La sua valorosa unità è stata uno dei primi esempi di foreign fighters arrivati a combattere in Siria. A lui si lega la decisione del gruppo guidato da Abu Bakr al Baghdadi di dividersi definitivamente da al Qaeda per occuparsi non più solo dell’Iraq ma anche della Siria: il suo network, e il valore in battaglia dei suoi uomini, hanno fatto da hotspost iniziale per l’Isis nell’area di Aleppo, insieme a quello che si considera il primo ponte siriano dell’attuale Califfato, la brigata guidata da Abu Athir al Absi, eliminato tempo fa da un bombardamento americano. La capacità militare del georgiano, probabilmente acquisita con l’esperienza tra i reparti russi e consolidate con l’insurrezione cecena, è stata fondamentale, per esempio, nei successi ottenuti lo scorso anno in Anbar, regione sunnita irachena al confine con la Siria, che ha dato i natali al vecchio al Qaeda locale da cui proviene l’attuale Isis. Le doti strategico-militari lo hanno portato a scalare le linee dello Stato islamico e ad arrivare fino all’organigramma centrale che ha accesso diretto al Califfo: era membro del consiglio della Shura, che per semplificare potremmo definire la massima assise del Califfato. Dopo la “breaking news” diffusa da Amaq, i canali Telegram e gli account Twitter dei sostenitori dello Stato islamico sono stati subito inondati da una serie di messaggi di cordoglio e preghiere che ne esaltavano le lodi.

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MOSUL

Shishani, secondo Amaq, sarebbe stato ucciso a sud di Mosul, area tuttora centrale nelle dinamiche del gruppo, oggetto di una futura, spesso annunciata, ma mai partita, campagna militare di riconquista (gli americani avrebbero preferito questo obiettivo a Falluja, ma le forze irachene avevano più a cuore riprendere prima la città dell’Anbar, visto che faceva da base logistica per gli attentatori che stanno dilaniando Baghdad). Hisham al Hashimi, un esperto di sicurezza iracheno con ruolo di consigliere per il governo, ha detto alla Reuters che una fonte a Shirqat gli ha confermato che il comandante era stato ucciso lì insieme a diversi altri militanti. Ad alimentare il solito alone di mistero che il Ceceno si porta dietro, un’altra dichiarazione alla Reuters: Rami Abdelrahman, capo dell’Osservatorio siriano per i diritti umani, con sede in Gran Bretagna, ha detto che Shishani era stato ferito in marzo (ossia nel raid di cui parlò il Pentagono) e morì poco dopo nelle campagne est di Raqqa.

(Foto: @Terror_Monitor, il tributo della femminile Hafidat Aisha: “L’uccisione del nostro uomo non fermerà la nostra marcia”)

 

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