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Gli Houthi dichiarano di non essere responsabili del danneggiamento di alcuni cavi sottomarini che scorrono lungo il Mar Rosso – in tilt da sabato. In un comunicato pubblicato martedì, il ministero delle Comunicazioni e dell’Informatica di Sanaa, in mano agli Houthi, ha ribadito la volontà di “risparmiare tutti i cavi di comunicazione e i loro servizi da qualsiasi rischio” e di “fornire le strutture necessarie per la loro riparazione e manutenzione, a condizione che ottengano i necessari permessi dall’Autorità per gli affari marittimi di Sanaa”.

In passato erano emerse minacce da parte del gruppo yemenita e di altre milizie del network finanziato dai Pasdaran, ma non è effettivamente chiaro quanto queste forze siano in grado di operare – ipotesi remota, secondo l’intelligence militare americana. Non è chiaro nemmeno se tali capacità le abbia l’Iran, che fornisce le armi alla rete di milizie che lavora sia in forma autonoma sia per curare l’influenza della Repubblica islamica nella regione. E soprattutto, non è chiaro se ci sia un reale interesse ad alzare ulteriormente il livello dello scontro, aggiunge al già problematico attacco costante alle rotte commerciali di superficie, un’azione altrettanto critica sulle infrastrutture Internet sottomarine.

“Credo che la carta dei cavi sottomarini sia ancora nella fase delle minacce per gli Houthi e non sia entrata nei target reali, ma rimane al centro dell’attenzione per loro e potrebbero cercare di prenderli di mira in seguito, e questo provoca lo spavento della popolazione e delle autorità in un certo numero di continenti come Asia, Europa e Africa, con effetti che potrebbero essere di grande portata sia per lo Yemen sia a livello internazionale, perché le acque davanti al nostro Paese sono un corridoio globale per i cavi Internet marittimi”, spiega Hesham Sarhan, giornalista yemenita,

Sarhan aggiunge che il gruppo cerca guadagni politici ed economici all’interno dello Yemen e nei negoziati con i Paesi della coalizione araba e altri. Anche per Muhammad Ali Mahrous, giornalista e fact-checker yemenita, esiste la spinta da parte di media e influencer pro-Houthi per attaccare i cavi, nonostante il gruppo abbia rivendicato di non essere responsabile. “Il problema – aggiunge Mahrous – è che anche le navi che dovrebbero fare riparazioni e diagnostica non possono avvicinarsi per questioni di sicurezza”.

Secondo le informazioni raccolte da Formiche.net, il danneggiamento non è stato prodotto da un evento naturale come un terremoto o una frana sottomarina. Dalle informazioni che si stanno consolidando in queste ore, è possibile che il cargo Rubymar, colpito il 18 febbraio da un missile anti-nave Houthi, sia stato responsabile della vicenda. Ma si resta nel campo delle ipotesi.

Il Rubymar, una volta colpito pesantemente, avrebbe gettato l’ancora di tribordo, poi l’equipaggio ha lasciato la nave per mettersi in salvo. L’imbarcazione sta affondando e non è più ancorata, ma sta lentamente andando alla deriva attraverso il Mar Rosso. Le ancore di queste navi possono anche raggiungere i 150/170 metri di profondità, quella a cui sarebbe avvenuto il danno ai cavi. Si stanno analizzando le rotte del Rubymar, ma in generale le indagini da compiere in certi casi sono molto complesse.

Eppure, questo genere di incidenti accadono (per altro, se la Rubynar non affonda può produrre altri disastri oltre a quello naturale). Però, in un contesto iper-teso come quello del Mar Rosso, dove le infrastrutture sono raccolte in modo eccessivo esponendo ulteriormente le vulnerabilità, questioni accidentali vengono automaticamente percepite come attacchi – con speculazioni conseguenti. Va comunque aggiunto che in questo caso l’eventuale incidente si sarebbe verificato a fronte di un attacco degli Houthi che ha messo fuori uso il Rubymar.

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