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Per tramandare alla memoria dei posteri le gesta che segnano il destino di un popolo le parole devono combinarsi nella solennità del poema. Per essere almeno un poco all’altezza di questa sfida abusiamo dei versi di don Lisander quando, or sono trascorsi più di due secoli, auspicava quella unità nazionale oggi messa in pericolo a causa dell’autonomia differenziata per le regioni a statuto ordinario. “Soffermàti sull’arida sponda, vòlti i guardi al varcato Volturno/, tutti assorti nel nuovo destino, certi in cor dell’antica virtù/ l’ han giurato: Non fia che quest’onda scorra più tra due rive straniere/ non fia loco ove sorgan barriere tra l’Italia e l’Italia, mai più!”

Ad intonare questo inno non è la Cavalleria sabauda di re Carlo Alberto schierata sulle rive e pronta a varcare il Ticino per andare in aiuto degli insorti in Lombardia, ma i partecipanti in rappresentanza di 100 organizzazioni che fanno parte della Via maestra, la coalizione sociale che sotto la guida di Maurizio Landini e con le risorse messe a disposizione dalla Cgil è scesa in campo, a Napoli, in difesa della democrazie e dell’unità d’Italia messe in discussione dalle riforme istituzionali che stanno portando avanti la maggioranza (l’autonomia differenziata) e il governo (il premierato): un disegno nel suo insieme deleterio perché spaccherebbe l’Italia e consoliderebbe nei secoli a venire quel dualismo Nord/Sud, che nella storia è sempre stato ritenuto il più grave handicap del Paese.

Ma c’è di più, perché nella vulgata landiniana, la disarticolazione istituzionale, economica e sociale del Paese si accompagnerebbe ad un nuovo centralismo autoritario incentrato sulla figura di un premier eletto dal popolo. Honi soit qui mal y pense: ma mancano due settimane al week end in cui verrà eletto il nuovo Parlamento, prima, e i vertici delle altre istituzioni europee, poi. Ma non c’è nulla da dire su di un sindacato che si mette alla guida delle varie e multiformi espressioni dell’associazionismo di sinistra in prossimità di un voto il cui esito deciderà la linea dell’Europa nei prossimi cinque anni?

Non pare che siano in ballo, argomenti concernenti la rappresentanza e la rappresentatività di una grande organizzazione sindacale o di un coacervo di associazioni sportive, culturali, religiose e di scampoli di formazioni politiche che da soli si perderebbero nel traffico cittadino, mentre in mezzo a un festival di popolo, possono camuffarsi e non farsi notare. Certo, i sindacati e l’associazionismo sono dei presìdi della democrazia. Esistono tanti aggettivi per qualificare un sindacato. Alcuni sono di natura tecnica: orizzontale, verticale, territoriale, di categoria, confederale, di base, nazionale, internazionale. Altri hanno una caratura politica: sindacato movimento o associazione, di classe, corporativo, generale, giallo, autonomo, rivendicativo, partecipativo e quant’altro. Ci fermiamo qui con le definizioni più comuni, convinti, tuttavia, di aver chiarito i concetti.

Negli ultimi anni la Cgil, ha individuato un nuovo modo di essere sindacato. Luciano Lama sottoscrisse il referendum voluto da Berlinguer; Elly Schlein ha firmato quelli proposti da Landini. Non c’entrano più né il valori dell’autonomia, né la vecchia logica della cinghia di trasmissione. A quest’ultimo proposito nel partito, la stanza dei bottoni, da cui partivano gli ordini della mobilitazione sociale, attraverso il meccanismo della cinghia, oggi è stata subaffittata ad una pizzeria al taglio, mentre ciò che rimane della cinghia stessa viene usato per fare delle bretelle da vendere al mercato delle pulci, insieme ai distintivi dismessi dell’Urss. Il tutto per poter pagare le bollette della luce al Nazareno. A Napoli la Cgil ha ulteriormente consolidato la sua vocazione transgender: quella, cioè, di un sindacato che rimane tale all’anagrafe, ma che si caratterizza sempre più – come identità di genere – su temi politici, divenendo non solo una componente, ma un federatore del fronte delle opposizioni.

Se a Napoli (e non solo) la Cgil rimane sindacato solo all'anagrafe. La versione di Cazzola

A Napoli la Cgil ha ulteriormente consolidato la sua vocazione transgender: quella, cioè, di un sindacato che rimane tale all’anagrafe, ma che si caratterizza sempre più – come identità di genere – su temi politici, divenendo non solo una componente, ma un federatore del fronte delle opposizioni. Il commento di Giuliano Cazzola

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