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Una cosa è usare la tecnologia, un’altra cosa è mettere in discussione i propri tradizionali modus operandi ed investire con lungimiranza e volume per assicurarsi il dominio tecnologico. Chiedere alla US Army. Intendiamoci, gli statunitensi non hanno inventato i fucili laser mentre eravamo distratti, ma continuano spediti nell’innovazione e, soprattutto, hanno un nuovo approccio per sperimentare ed adattarsi alle nuove tecnologie.

Iniziamo da questo nuovo approccio, esemplificato dall’ultima esercitazione della Multi-functional reconnaissance company della 101esima divisione aerotrasportata della US Army (se il nome sembra familiare è perché lo è: parliamo delle Screaming Eagles del D-Day), seguita in esclusiva da Defense One. La Mfrc ha tutti gli ultimi ritrovati tecnologici – dai droni (anche commerciali) a mini-computer grandi quanto un francobollo che possono essere disseminati ovunque per distrarre il nemico coi loro segnali, fino all’intelligenza artificiale integrata nei sistemi di puntamento. Soprattutto, è una delle punte di diamante della nuova strategia dell’Esercito a stelle e strisce per l’adattamento tecnologico.

La US Army, infatti, ha sempre equipaggiato tutte le sue unità con lo stesso materiale, ma questo ha presentato risultati controproducenti per l’adattamento di nuove tecnologie, aumentando il rischio di optare per soluzioni sub-ottimali (in quanto non testate in modo “realistico” da vere unità sul campo di battaglia) e rallentando l’adattamento tecnologico della Forza armata (data la numerosità delle unità, è capitato che qualcuna ricevesse del nuovo equipaggiamento quando questo era già superato). Adesso, invece, la strategia prevede una rapida fornitura di un’ampia varietà di nuove tecnologie, ma a solo tre brigate che hanno il compito di testarle.

Questo consente di correggere il tiro molto meglio di quanto sarebbe possibile fare nella fase di ricerca e sviluppo di un sistema d’arma. Prendiamo quest’ultima esercitazione: la Mfrc è rimasta cieca ad un drone dell’unità nemica, in barba a tutti i loro sensori; non solo, gli uomini sentivano il rumore del drone, ma neanche il loro apposito strumento riusciva a captarlo. Perché? Il tenente Adam Hendrick ha avanzato una spiegazione: il drone “nemico” era di fabbricazione statunitense, pertanto non veniva segnalato. Quale che sia il motivo, meglio rifletterci adesso che dopo aver equipaggiato l’intero esercito con una tecnologia “cieca” a un tal tipo di drone. I vantaggi di questa strategia non si fermano qui, poiché unità super-tecnologiche che si esercitano al massimo del realismo sono il modo migliore per sperimentare con le numerosissime novità che emergono dall’aggressione russa all’Ucraina. Nel corso dell’esercitazione, infatti, la Mfrc è riuscita ad identificare, grazie a dei piccoli droni, 29 pezzi d’artiglieria “nemici” nel corso del primo giorno, guidando telematicamente il fuoco di supporto con precisione.

A proposito di guidare il fuoco dell’artiglieria, nel frattempo, alla Armed Forces Communications and electronics association technet event del 21 agosto, il generale John Cogbill ha parlato dei progressi del sistema di puntamento Scarlet dragon, definendolo “pronto al combattimento”. Progetto iniziato nel 2020, lo Scarlet dragon è passato dall’identificare un bersaglio (a partire da immagini satellitari) in più di 12 ore a meno di un minuto; comparazione ancor più significativa è il fatto che si riesca a raggiungere l’accuratezza dell’operazione più precisa della storia statunitense, la Seconda guerra del golfo, usando 20 soldati, rispetto ai 2000 di allora. Il sistema, che renderà possibile anche a piccole squadre dell’Esercito di colpire mille bersagli all’ora, dovrebbe fare il suo debutto nel Pacifico durante l’esercitazione nippo-statunitense Yama Sakura del 2026.

Integrare le nuove tecnologie con brigate apposite. La US Army oltre l’innovazione

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