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Come tutti i casi che hanno qualcosa di  scientifico, qualcosa di politico, qualcosa di economico, ecc. il caso trivelle passerà alla storia nella raccolta dei casi italiani di cui non abbiamo capito nulla (primo ohimé).

Nel nostro grande paese abbiamo avuto un caso paragonabile negli anni Settanta, sul cosiddetto caso centrali nucleari. Il subject si poneva in quegli anni in tutta Europa per affrontare il problema del bilancio energetico (dopo le crisi petrolifere). In Francia, nonostante la disponibilità di ecologisti ben più agguerriti, la normativa passò e la Francia adottò il nucleare, grazie al quale fornisce energia anche al nostro Paese (e le centrali francesi distano poco dalle nostre frontiere, cosicché abbiamo ottenuto tre “vantaggi”: rischio più o meno uguale, prezzi più alti di importazione, costi di gestione per chiusura delle centrali progettate e costruite – come Caorso – ma, soprattutto, nessun passo avanti per conquistare più autonomia energetica per il fabbisogno energetico italiano. Abbiamo spinto si le energie alternative, però a costi molto alti. E anche qui con altrettante alte contestazioni.

Oggi, il problema si pone secondo modalità e condizioni diverse, tuttavia assimilabili. Grazie alla prevedibile e prevista cosiddetta crisi economica globale, il mondo occidentale ha deciso di accelerare i risparmi energetici, anche stavolta per più ragioni. Anzitutto, ridurre i costi. Poi per ridurre le importazioni di petrolio dai paesi produttori (quando si capì che investivano i ricavati nello stesso occidente comperandosi le imprese, banche, immobili a  prezzi di saldo). Gli USA avviarono questo processo che li portò a diventare non solo autonomi, ma persino esportatori, entro breve. Certo gli Usa hanno tecnologie che permettono loro di realizzare sogni a noi preclusi. Però, anche qui da noi, poi un bel giorno, pochi  anni fa, si scopre che alcune regioni del sud Italia  – Basilicata ad esempio – hanno sotto sotto il gas, tanto gas. Poi si scopre anche che il petrolio si potrebbe ricavare con piattaforme off shore sulle coste. Alleluja – si gridò – anche noi potremmo migliorare i conti e diventare meno dipendenti dalle importazioni di prodotti energetici. Ma neanche per sogno – si rispose – il nostro suolo e le nostre coste non si toccano.

Le riflessioni da fare, quindi, scientificamente, politicamente ed economicamente, sono poche, ma complesse e tutte riferibili a una domanda, cui ora non saprei dare risposta: c’è un progetto scientifico ed  economico – anche sull’indotto che verrebbe generato? Se così fosse, risolvere il problema politico diverrebbe più facile. Ci si prepari a fare sconti fiscali nelle regioni-provincie che si oppongono. In una situazione di crisi  economica e lavorativa come quella attuale fare anche un progetto politico sensato e credibile dovrebbe esser facile. In più abbiamo un ministro per l’Ambiente serio e concreto (Gianluca Galletti). Guai a perdere l’occasione. Certo, gli oppositori delle trivelle richiameranno l’Enciclica Laudato Sì,  trincerandosi dietro l’assist dato addirittura dal Papa. E qui io “non ho competenza” per darvi opinione (secondo ohimè!).

Che cosa penso (francamente) delle trivelle

Come tutti i casi che hanno qualcosa di  scientifico, qualcosa di politico, qualcosa di economico, ecc. il caso trivelle passerà alla storia nella raccolta dei casi italiani di cui non abbiamo capito nulla (primo ohimé). Nel nostro grande paese abbiamo avuto un caso paragonabile negli anni Settanta, sul cosiddetto caso centrali nucleari. Il subject si poneva in quegli anni in…

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