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“Ciò che rende inconciliabile l’idea del mondo in cui vivere dell’integralismo islamico e la nostra, cristiana, è il rapporto con la modernità”. Questa la tesi che Piero Ostellino ha cercato di argomentare domenica scorsa in prima pagina sul Giornale. Tesi e argomenti non mi convincono. Non che ritenga che integralismo islamico e cristianesimo siano compatibili, come vorrebbe ad esempio certa retorica ecumenistica.
Il fatto è che per me l’incompatibilità, che esiste ed è evidente, c’entra poco con la modernità. Né, d’altro canto, la modernità può essere appiattita sull’illuminismo, come senza troppo distinguo fa Ostellino. Il quale è infatti convinto che “il cristianesimo, nel mondo del Settecento, con l’illuminismo, ha accolto, e si è integrato, in un’idea della vita che distingue nettamente il peccato dal reato”.

A causa di questa sua mancata integrazione, l’integralismo islamico sarebbe rimasto invece fermo al medioevo, cioè alla concezione della vita che aveva dominato per tanti secoli anche nell’Europa cristiana. Ma è davvero l’accettazione o meno della modernità nella versione illuministica, con tutto ciò che essa comporta, in primo luogo la separazione fra peccato e reato, che segna la differenza, anzi l’incompatibilità, fra queste due visioni del mondo a sfondo religioso? Davvero il torto dell’Islam è di essere rimasto fermo al medioevo?
Ecco, la prima cosa da osservare è che Ostellino fa propria una visione del progresso storico, una “filosofia della storia”, che è presa pari pari dall’illuminismo. Il quale appunto tendeva a differenziare nettamente la sua età dai “secoli bui” che l’avevano preceduta, i quali sarebbero stati il regno del fanatismo, della barbarie, della superstizione e di una generale arretratezza umana e civile. Queste idee, in virtù dell’opera svolta dai philosophes, sono da allora rimaste conficcate nel nostro immaginario, fino a diventare senso comune.

Fatto sta che esse però sono state ampiamente relativizzate, e spesso anche sconfessate, dalla storiografia contemporanea. Non si tratta semplicemente di superare la visione del Medioevo come un insieme di “secoli bui”. Occorre, più radicalmente, che esso sia visto come un laboratorio in cui si sperimentarono, e molto spesso si realizzarono, istituzioni liberali o almeno prodromiche al liberalismo (vedi Larry Siedentop, Inventing the Individual: The Origins of Western Liberalism. Harvard University Press).
Non è l’illuminismo che nel nostro mondo “ha secolarizzato la religione”, come afferma Ostellino, ma è la secolarizzazione che è da concepirsi come un graduale sviluppo interno alla civiltà giudeo-cristiana, quasi come un’epifania del suo senso complessivo. D’altronde, la tipicità della religione cristiana è consistita proprio nella definizione di un Dio che si fa uomo, cioè si incarna, che giudica tutti gli uomini suoi figli, e quindi fratelli fra loro, che predica l’amore e la carità.

Non c’è nel cristianesimo quell’assolutezza della trascendenza, quella abissale distanza fatta di cieca ”sottomissione” che troviamo nella religione islamica. La modernità e lo stesso illuminismo sono perciò da una parte intrisi di spirito cristiano, sono una derivazione diretta del cristianesimo; dall’altra, nella loro versione illuministica (che non è affatto l’unica), conservano spesso, seppur col segno cambiato, quel residuo di trascendenza astratta che ha accompagnato il cristianesimo in buona parte della sua evoluzione storica.
In particolare, la stessa distinzione fra trono e altare, potere e religione, che fonda la stessa separazione fra reato e peccato, ha accompagnato la dialettica interna e l’evoluzione storica di tutta l’era cristiana, compresa quella medievale (si pensi alla lotta fra Impero e Papato). Fra l’altro, non è stato lo stesso Gesù Cristo a esigere che fosse dato a Dio quel che è di Dio e a Cesare quel che è di Cesare? Le stesse libertà, seppure intese come privilegio, hanno fatto la loro prova e si sono sviluppate negli interstizi dei poteri diffusi medievali.

Ovviamente, con questo non si vuole negare che la civiltà cristiana non abbia conosciuto pagine tristi, che non sia stata fonte di ingiustizie e violente aggressioni. Il male, a volte radicale, che anch’essa ha conosciuto può però essere visto come una perversione degli uomini e non un portato della dottrina. Ciò spiega perché, a mio avviso, il liberalismo, che come pensavano fra gli altri Benedetto croce e Ortega y Gasset è una sorta di affinamento e prosecuzione del cristianesimo, sia sorto nella nostra parte di mondo e non altrove. Ci piaccia o no l’Islam potrà autotrasformarsi, nella sua parte integralista ma anche in quella “moderata”, solo occidentalizzandosi, cioè in qualche misura “cristianizzandosi”.

Ecco cosa divide davvero Islam e Cristianesimo

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