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È forse un segnale quello che il Governo Renzi continua a mandare al sindacato? Il premier ha intenzione di ridimensionarne le risorse economiche? Il fatto è che anche quest’anno nel disegno di legge di stabilità 2016 sono previsti tagli al finanziamento pubblico dei patronati sindacali (che, per legge, hanno il diritto di ripartirsi – sulla base delle prestazioni effettuate – una somma ragguagliata ad una quota del montante contributivo versato nell’anno di riferimento).

Può essere, poi, che, come avvenne per l’anno in corso, durante l’iter legislativo si varino alcuni emendamenti che “riducano il danno”, senza, tuttavia, modificare più di tanto una linea di tendenza che poggia su di una valutazione – che si dice essere alimentata in primis dal Presidente dell’Inps, Tito Boeri – secondo la quale, con la digitalizzazione dei processi di dialogo tra Istituti erogatori e cittadini, gli enti di patronato svolgerebbero una funzione se non proprio inutile, almeno in via di superamento.

Si tratta, sicuramente, di una rappresentazione della realtà tuttora distante dal vero, in quanto non solo il digital divide dei cittadini di questo Paese è molto alto e si abbassa lentamente, sia per motivi anagrafici, sia per la difficoltà di accesso ai sistemi e per la complessità del nostro regime di tutela previdenziale, nel quale un cittadino – a volte anche un esperto di materia previdenziale – non è in grado, da solo, di “venirne a capo”.

Il Patronato, con la propria attività, “copre” spesso i limiti e le disfunzioni degli enti previdenziali per i cittadini e l’opinione pubblica, in particolare a fronte di una ricorrente rivisitazione della normativa applicabile, spesso con notevoli problemi di corretta interpretazione. Queste considerazioni sono sostenute, a difesa del proprio ruolo, dai Patronati sindacali. E c’è, indubbiamente un fondamento di verità, se è vero – e lo è – che i loro sportelli sono diventati, da tempo, una sorta di decentramento produttivo degli uffici periferici dell’Inps, al punto da avere libero accesso alle banche dati dell’Istituto.

Tuttavia, non si può non riconoscere che l’attuale sinergia tra enti pubblici e Patronati sindacali è parte integrante di un modello di assistenza in via di superamento, sulla base delle trasformazioni che si sono verificate nel giro di un tempo abbastanza breve. Basti pensare che il momento di maggior gloria dei Patronati risale ad una quindicina di anni or sono. Gli Istituti di patronato e di assistenza sociale (detti comunemente, appunto, Patronati sindacali) sono disciplinati dalla legge 30 marzo 2001, n. 152 che ha innovato la normativa previgente (di cui al d.lgs. c.p.s. 29 luglio 1947 n. 804).

Sulla natura dei Patronati si è a lungo dibattuto, in quanto la giurisprudenza e parte della dottrina, legate a concezioni vigenti durante l’ordinamento corporativo, avevano ritenuto che essi fossero inquadrabili come enti pubblici in quanto perseguono interessi pubblici. Secondo la migliore dottrina, invece, i Patronati erano da ritenersi persone giuridiche private, istituiti da soggetti anch’essi privati (associazioni sindacali o professionali), le quali, realizzando la tutela dei singoli beneficiari delle prestazioni previdenziali, agivano per la soddisfazione diretta ed immediata di un interesse privato, ancorché connesso con quello pubblico.

La citata legge n. 152/2001 ha sciolto esplicitamente il nodo interpretativo sancendo, all’articolo 1, che gli Istituti di patronato sono «persone giuridiche di diritto privato che svolgono un servizio di pubblica utilità» nel quadro di una più compiuta attuazione degli articoli 2, 3, secondo comma, 18, 31, secondo comma, 32, 35 e 38 della Costituzione. Tale interpretazione, del resto, era stata autorevolmente avallata dalla Corte Costituzionale quando, nel 2000, dichiarò inammissibile un quesito referendario che proponeva sostanzialmente l’abolizione dei Patronati. Alla base della sua pronuncia la Consulta aveva evocato, infatti, il diritto alla tutela previdenziale sancito dall’articolo 38 della Carta fondamentale, la cui realizzazione avveniva anche attraverso l’esercizio delle funzioni attribuite ai Patronati.

L’aspetto più importante della legge n. 152/2001 stava proprio nel meccanismo di finanziamento pubblico, ripartito secondo criteri ragguagliati all’attività svolta da ciascun Istituto e costituito dal prelevamento dell’aliquota dello 0,226% sul gettito dei contributi obbligatori incassati dai maggiori enti previdenziali. La stabilizzazione di tale aliquota determinò così un costante aumento delle risorse destinate, dal momento che la base imponibile – ovvero il gettito contributivo – è, per sua natura, in crescita. Da alcuni anni a questa parte, invece, vi sono stati diversi tentativi, da parte del Governo e del Parlamento, di rivedere strutturalmente questa aliquota: tentativi poi risolti, nel quadro delle manovre finanziarie, in provvedimenti di carattere forfetario di riduzione dei trasferimenti.

La legge di stabilità per il 2015 ha ridotto di 35 milioni di euro (dai 75 milioni inizialmente previsti in prima lettura) il taglio delle risorse destinate al finanziamento degli istituti di patronato. Venne, inoltre, disposta la riduzione, a decorrere dall’esercizio finanziario 2016, dall’80% al 72% degli anticipi versati ai patronati sulle somme spettanti e, a valere sul gettito dei contributi previdenziali obbligatori incassati dall’anno 2014, dell’aliquota di contribuzione, rideterminata nello 0,207%. Furono, poi, introdotte ulteriori modifiche alla normativa (di cui alla legge n. 152/2001) con riguardo: 1) alla disciplina dei criteri di costituzione e all’attività degli istituti, prevedendo, in particolare che anche le modalità di esercizio delle nuove funzioni riconosciute agli istituti di patronato fossero definite con uno schema di convenzione approvato con DM da emanarsi entro il 30 giugno 2015; 2) alla riduzione all’1,5% della soglia minima di attività rilevante (alla quale sono cioè finalizzati i finanziamenti pubblici) che ciascun patronato deve realizzare, pena lo scioglimento, se essa non viene raggiunta per 2 anni consecutivi. In sostanza, l’applicazione di tali criteri avrebbe dovuto consentire un’effettiva ristrutturazione e riqualificazione del settore.

Si arriva così all’articolo 33 comma 11 del disegno di legge di stabilità per il 2016 che è diretto a conseguire economie di carattere strutturale mediante la riduzione dell’aliquota da 0,207% a 0,183% da applicare ai contributi incassati dagli enti previdenziali per determinare, così, le somme da trasferire ai Patronati sindacali. Mentre l’applicazione della aliquota previgente (0,207%) darebbe luogo ad un versamento agli Istituti di circa 410 milioni su base annua, con la nuova aliquota ridotta si otterrebbe un’economia di 48 milioni di euro annui. Ma non basta. Poiché la rideterminazione dell’aliquota opererebbe sui contributi incassati dal 2015 per l’esercizio 2016 l’economia rispettivamente di 48 milioni di euro sarebbe ottenuta mediante una riduzione dei trasferimenti ai Patronati, a titolo di acconto.

In estrema sintesi, se approvata, la disposizione proposta contiene tre novità: la decurtazione di 48 milioni del fondo Patronato con effetto sul fondo stesso per il 2015, a decorrere dall’anno 2016; l’abbattimento dell’aliquota con effetto sul fondo patronato 2016 a decorrere dall’anno 2017 dallo 0,207% allo 0,183%; la diminuzione dell’acconto dal 72% al 60% con effetto dal 2017. Tale intervento segue quello dello scorso anno, con il quale si è provveduto a: la decurtazione di 35 milioni del fondo Patronato con effetto sul fondo 2014 ed erogato a decorrere dall’anno 2015; l’abbattimento dell’aliquota con effetto sul fondo patronato 2015 a decorrere dall’anno 2016 dallo 0,226% allo 0,207%; la diminuzione dell’acconto dal 80% al 72% con effetto dall’anno 2016. L’effetto combinato delle due norme comporta: la riduzione dell’aliquota di finanziamento del fondo patronato da 0,226% al 0,183%, con una riduzione nel biennio di quasi il 20%; la riduzione di 83 milioni di euro del fondo.

Secondo i patronati queste operazioni comporterebbero un presumibile esubero di personale per l’intero “sistema patronato” di 2.370 operatori. Gli istituti, poi, accusano il Governo di aver lasciato “a bagnomaria” numerose disposizioni che avrebbero potuto riformare il sistema. In particolare: i decreti attuativi dell’art. 10 della legge, n. 152/2001, che dovevano essere emanati entro il 30 giugno 2015; il decreto sullo schema di bilancio, da redigere per competenza secondo le regole del Codice Civile; la riforma delle tabelle delle attività finanziabili.

Inoltre, la rendicontazione dell’attività trasmessa telematicamente e finanziabile con 0,25 punto/pratica (ex lege n. 228/2012) non è ancora stata predisposta; il decreto sull’estensione territoriale non sembra perseguire, per le scelte fatte dal Ministero, l’obiettivo di ridurre il numero dei Patronati in maniera significativa (indiscrezioni ministeriali affermano che dal sistema uscirebbero solo 8 di 29 patronati oggi accreditati); nessun provvedimento è stato preso nei confronti dei Patronati che alla data dell’entrata in vigore della legge di stabilità 2015 non erano presenti in almeno 8 stati esteri. Magari, sarebbe utile stipulare convenzioni per gestire meglio il contenzioso previdenziale che appesantisce enormemente, soprattutto nel Mezzogiorno, il contenzioso civile (a causa del filibustering degli avvocati non collegati ai Patronati).

Ecco come il governo Renzi azzanna i patronati sindacali

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